L’Arma lascia il metal detector

Sguarnito il tribunale. Il procuratore Pavone: «La parola alla procura generale»

BELLUNO.

In aula sì, al metal detector no. Anche i carabinieri hanno lasciato il dispositivo di sicurezza all’ingresso del palazzo di giustizia. Erano rimasti gli unici a presidiarlo, dopo che le altre forze di polizia si erano ritirate e, da lunedì, non ci sono più nemmeno loro. I transiti non sono più controllati. Del resto, il tenente colonnello Giorgio Sulpizi aveva garantito un impegno a termine e non a tempo indeterminato. I suoi uomini continuano a garantire l’ordine pubblico, durante le udienze penali, ma al piano terra non ci sono più.

La competenza sul palazzo di via Segato è passata di recente dal Comune di Belluno al ministero della Giustizia e tocca alla procura generale escogitare il sistema per garantire la sorveglianza: «Ho contattato chi di dovere», garantisce il procuratore Francesco Saverio Pavone, «e stiamo aspettando una risposta. Non possiamo essere certo noi a organizzare un bando, per scegliere chi debba occuparsi di questo congegno, anche perché non disponiamo dei fondi necessari. Ad ogni modo, prendiamo tutto con serenità e senza creare allarmismi».

L’alternativa alle forze di polizia era un istituto di vigilanza privata, che ha già lavorato al metal detector, dopo la sparatoria al palazzo di giustizia di Milan: quello che manca con la Mondialpol è l’accordo economico. Questione di pochi euro all’ora, ma determinanti. È indispensabile che la vigilanza al rilevatore di metalli sia armata. Ecco perché non possono occuparsene i vigili urbani, se non in presenza chi la fondina con la pistola ce l’ha a portata di mano.

Il Comune sta continuando a fornire i custodi, che però a loro volta non hanno alcun potere di controllare una borsa, che fa suonare la sirena perché contiene qualcosa di metallico.

Gigi Sosso

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi