Lassù in Marmolada dove per uscire ti devi vestire da yeti
ROCCA PIETORE. «Provaci a stare fermo 10 minuti all’esterno, con questa temperatura. Muori congelato». Guido Trevisan è l’uomo yeti della Marmolada.
Ai 3.300 metri di punta Rocca gli sciatori hanno sperimentato ieri i 30 gradi sotto zero. Ai 2.626 metri di Pian dei Fiacconi il termometro segna –28.
All’interno del rifugio la temperatura è mite, +12, e Guido, il gestore, si permette di stare in maniche di camicia: «Ma se esci, deve imbottirti come uno yeti. E, magari, metterti ai piedi le pelli di foca».
«Quando fa più caldo, magari intorno ai –25, esco per fare qualche lavoretto. Resisto dai 20 ai 30 minuti, dopo devo assolutamente entrare. Se ti metti fuori, a prendere il sole sullo sdraio (in faccia, intendo), dopo 10 minuti, stando fermo, ti congeli e devi dire addio a questa beatitudine».
È incomparabile la bellezza del ghiacciaio della Marmolada. La neve è alta 2 metri, in qualche punto anche 3. «Per fortuna che c’è», sospira Trevisan. «La neve fa da isolante, protegge il terreno, impedisce che congeli. E allo stesso modo copre le fognature e ripara i muri e le fondamenta dello stabile dai rigori. Quassù abbiamo patito molti più danni l’inverno scorso, quando non abbiamo avuto precipitazioni, come invece in questi mesi di nevicate continue».
La cestovia non funziona. Ha smesso alla fine di settembre. Riprenderà il 6 marzo, per richiudere dopo due mesi.
Guido, pertanto, sale dal passo Fedaia a piedi, con le pelli di foca, misurando i passi: 90 minuti di sforzo su cui vigilare, quando fa gelo.
Allo stesso modo salgono gli scialpinisti, una trentina alla settimana. Arrivano fino a Pian dei Fiacconi, i più si fermano spossati, solo qualcuno va più avanti di qualche centinaio di metri. Ma in cresta no. «È troppo pericoloso in presenza di temperature come queste. Se ti capita un accidente, la morte è automatica; non fai a tempo neppure di chiamare i soccorsi. Meglio, dunque, non avventurarsi» .
Trevisan si riscalda con la legna che ha portato alla fine stagione. E con il petrolio. «La regola più raccomandata, in un contesto di gelo come questo, è di muoversi in continuazione, altrimenti sei spacciato».
Dall’altra parte del ghiacciaio gli appassionati della discesa continuano a scendere sfidando il termometro, ma hanno ogni tipo di protezione. A Punta Rocca, dove arriva la funivia, il personale può proteggersi in una stanza riscaldata. Di notte, comunque, scende in basso; così quello della stazione Serauta.
Ai 2 mila metri del lago Fedaia, Aurelio Soraruf conduce il rifugio Castiglioni Marmolada. È molto soddisfatto della stagione. «La temperatura di questi giorni ricorda quella dei giorni della merla, a fine gennaio. Vuol dire che la stagione è un po’ in ritardo» spiega.
«Per fortuna quassù non è arrivato il vento, quindi il gelo lo abbiamo patito di meno. Il burian per noi è una consuetudine. Certo, dobbiamo riscaldare gli ambienti un po’ di più» .
Una volta, racconta Soraruf, si vendevano anche più grappe; di questi tempi, invece, il turista è molto cauto, è più attento allo stile di vita.
Ma quanto costa in più vivere nelle siberie di casa nostra? Attilio Bressan abita a Malga Ciapela. Per decenni è stato il capo del Soccorso alpino della Val pettorina. «Io consumo, per riscaldare, più di 100 quintali di legna l’anno. Per la verità non ho altri tipi di riscaldamento. Ho la termocucina. Qui, per fortuna, siamo ricchi di boschi».
Bressan tiene anche le galline. «Il pollaio è riscaldato grazie a una microresistenza» fa sapere. «Il problema è sempre quello dell’acqua, bisogna stare attenti che non congeli, per cui noi in casa, come nel pollaio, la riscaldiamo in continuazione».
E i turisti come reagiscono? «Qui non siamo a Roma», risponde Maurizio De Cassan, del Tyrolia. «Siamo preparati. Ricordo che alla fine degli anni ’70 abbiamo avuto ben tre settimane tra i –27 ed i –29 gradi. Qui a Malga. Immaginarsi come era sopra».
E quindi? «Intanto non bisogna avere particolare problemi fisici. E poi vestirsi puntualmente. E non stare fermi al freddo».
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