Le figlie di Calonego: «Mai perso la speranza di poterlo riabbracciare»
SEDICO. Una liberazione. Nel vero senso della parola. Non avevano mai perso la speranza, le figlie e le sorelle di Danilo Calonego, ma 47 giorni sono lunghi e dalla Libia non filtravano informazioni sul lavoro in atto da parte dell’intelligence. Quanto ieri mattina Pamela ha ricevuto la telefonata dalla Farnesina, tutta la tensione, l’ansia e le preoccupazioni accumulate in queste settimane si sono sciolte. «È un regalo di Natale anticipato», racconta dall’abitazione di via Casate dove vive l’anziana madre di Danilo, la nonna di Pamela e Simona.
Tutta la famiglia si è radunata lì. Nonna Gilda non sa ancora nulla: l’età e lo stato di salute non le avrebbero consentito di sopportare la situazione. «L’altro giorno ho finto che Danilo ci chiamasse», aggiunge Simona, l’altra figlia nata dal primo matrimonio di Calonego. «Ho simulato una telefonata, chiedendogli quando sarebbe rientrato. Alla nonna abbiamo detto che ci sono problemi con il telefono in Libia e che Danilo comunicava con noi solo via mail, così è rimasta tranquilla».
Mentre le figlie raccontano, dalla porta accanto esce la badante di una signora anziana. Alza le braccia al cielo, urla, felice: «Hanno liberato Danilo! Viva Danilo! Gli voglio bene, è un buonissimo uomo!». La voce le trema, tanta è la gioia per la notizia che la prigionia è finita, Calonego sta bene e presto tornerà a casa.
Mentre Pamela è stata avvertita dalla Farnesina che il padre era stato liberato, Simona ha ricevuto la notizia con un sms, da un’amica che aveva appena sentito la lieta novella alla televisione. «Grazie, grazie a tutti», sono le prime parole che riesce a dire. In via Casate c’è anche il cognato di Calonego: «Gli diremo di non tornare più in Libia, adesso».
Una frase che ricorre spesso, nella mattinata trascorsa nel piccolo borgo del Peron. «È una notizia che toglie il fiato», aggiunge Simona. «Non mi aspettavo che arrivasse così presto. Credevo sarebbe arrivato per Natale, perchè ho sempre avuto fiducia che Danilo sarebbe stato liberato. Ho sempre avuto fiducia anche delle istituzioni, della Farnesina. So che lavorano in silenzio e noi abbiamo rispettato il loro modo di operare, aspettando che ci chiamassero per darci una buona notizia. Com’è successo». Si commuove, Simona: «Sono le lacrime che ho tenuto dentro per 47 giorni».
«Questa vicenda ha avvicinato ancora di più la nostra famiglia», dice Pamela, uscendo per un attimo da casa. Sono disponibili, le due sorelle, schive e riservate ma felici di poter raccontare che l’incubo è finalmente terminato. «La nostra grande famiglia è sempre rimasta unita e oggi lo è ancora di più. Non appena arriverà gli dirò di non partire più. Basta Libia».
Poi Pamela corre in macchina. Prende delle coccarde colorate. Bianche, rosse e verdi. Con la sorella, il figlio e il nipote le sistema sulle terrazze di casa. «Festeggiamo con il tricolore, perché Danilo si sente italiano anche se ama la Libia». (a.f.)
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