Le lapidi del Vajont: «Se restano nei sotterranei finiranno in discarica»
LONGARONE. Amara, quasi sconsolata la domanda che i superstiti si fanno su quel 'patrimonio sacro' che sono le lapidi delle vittime del Vajont: dopo di noi saranno portate in discarica? Renato Migotti e Gianni Olivier se lo chiedono esplicitamente. Ed hanno anche una risposta alla loro domanda: «Sì, saranno eliminate se continueranno a restare così impacchettate».
D'altra parte lo stessi sono consapevoli che una soluzione non è facile da individuare. «Quella più semplice è esporre le foto che abbiamo già di ognuna, magari qui all'ingresso» condividono guardandosi intorno, negli ampi spazi del museo che dà sul cimitero monumentale. Ma bastano le foto? Migotti ha più di qualche dubbio. A lui era stato dato l'incarico, ancora anni fa, di immaginare una sistemazione, ma obiettivamente non è facile trovare lo spazio per esporre oltre 700 lapidi, quelle almeno recuperabili.
«C’è chi propone di riportare alla luce solo i ritagli di marmo con la foto e la dedica, perché ci sono lastre molto ampie ed ingombranti che sono completamente spoglie». Ma sarebbe un lavoro immane. E costoso. Migotti ha interpellato gli scalpellini di Castellavazzo. Ha ricevuto immediatamente una risposta: positiva. Ma tempi e costi sono abnormi. Chi paga il laboratorio che potrebbe essere creato nello stesso magazzino di Fortogna? I superstiti non hanno risorse.
Il sindaco Roberto Padrin ha ricordato, nell'assemblea dei superstiti di domenica scorsa, che le lapidi sono di proprietà privata e che, pertanto, l'amministrazione comunale non è legittimata a decidere sul loro destino. Ha chiesto, pertanto, all'associazionismo di pronunciarsi. «Noi, purtroppo, ribaltiamo la domanda: chiediamo al Comune di indicarci le possibili soluzioni e tra queste noi potremmo scegliere». Si badi: nessun contrasto, nessuna polemica. È già molto se noi - interviene ancora Migotti - potessimo raccogliere in un volume la scheda di ciascuna vittima e pubblicare la foto della tomba. Foto che, appunto, sono già nella disponibilità di Olivier. I superstiti sono 350, almeno quelli invitati ai raduni, ma ogni anno il numero si assottiglia. La preoccupazione è che con la loro scomparsa un colpo di spugna possa cancellare anche questa memoria.
«A volte ci chiediamo se interessa ancora a qualcuno, questa memoria. Prima della tragedia i cognomi stavano sulle dita di una mano, dopo si sono quintuplicati, ed anche di più - rileva Olivier -. Ho fatto il maestro, in classe avevo 25 alunni e i cognomi erano 20. Con questa etereogenità di persone, tutto si annacqua, anche il Vajont, come dimostra la sempre più scarsa partecipazione alle cerimonie commemorative. I nuovi longaronesi non si sono integrati con i vecchi, le nuove generazioni con quelle precedenti. I figli di prima e seconda generazione sembrano disinteressarsene». Un’amara realtà, anzi una poco rassicurante prospettiva con la quale fare i conti in questo 53mo anniversario. (fdm)
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi