L’emigrazione fu un fattore positivo

Gli uomini si sposavano prima di cercare fortuna all’estero e lasciavno le donne a gestire casa e terre
Sarà forse stata colpa del tempo - caldo torrido al mattino, scrosci d’acqua nel pomeriggio - o della giornata lavorativa, ma di certo la scarna affluenza alla prima giornata del convegno sull’emigrazione femminile - promosso essenzialmente dalla Comunità montana feltrina, dal Comune di Pedavena, dalla Regione Veneto e dalla Provincia di Belluno - è stata una bestialità della quale i bellunesi, popolo di migranti, non avrebbero dovuto macchiarsi. Relatori, studiosi locali, i brasiliani di Ana Rech e pochissimo altro - e per fortuna che l’Ipsaa ha inviato una classe ed altrettanto l’istituto comprenviso pedavenese - ha offerto la platea. Una vera dannazione, perché gli interventi in programma sono stati tutti di alto livello ed hanno consentito di disvelare ulteriori veli sul ruolo della donna nell’emigrazione, eliminando alcuni stereotipi. Fortunatamente oggi si replica, con la seconda giornata in programma al museo di Seravella dalle 9.30, e quindi gli assenti hanno l’opportunità di rimediare al loro errore. L’emigrazione ha vissuto sinora di alcuni luoghi comuni, ripresi anche negli interventi introduttivi delle autorità ieri mattina.


Il fatto che tutti i partenti fossero miserabili e che l’emigrazione abbia prodotto un impoverimento del Bellunese - quando invece sono sotto gli occhi di tutti, ad esempio, i benefici arrivati grazie alle rimesse che chi migrava inviava a casa. Il fatto che la donna avesse un ruolo subalterno al marito - quando invece era a lei che, pur essendo quasi una «bestia da soma», era demandata l’intera economia domestica. Il fatto che la montagna fosse soltanto un luogo dal quale fuggire. Come ha evidenziato Andrea Zannini, la società dalla quale si partiva era preda di numerosi mutamenti. L’allevamento da ovino diventava bovino. C’era un incremento demografico. C’era stata una migrazione stagionale maschile verso l’Europa Centrale. Sommati tra loro questi mutamenti, positivi, arrivarono in alcuni casi ad annullarsi - più soldi volevano dire maggior cibo per i figli, ma anche famiglie più numerose e quindi meno cibo - spingendo alcune famiglie alla migrazione verso realtà che offrivano miraggi di evoluzione. Analizzando l’emigrazione di Seren del Grappa, si nota che è vissuta di due momenti distinti. Le donne migravano prima del matrimonio, andavano a servire nelle case dei possidenti della pianura oppure a lavorare come braccianti, sempre in pianura. Poi tornavano a casa per sposarsi - nella maggior parte dei casi con uomini non serenesi, mentre questi ultimi sposavano di conseguenza donne non loro paesane - od in alcuni casi non tornavano più, perdendosi in storie di degrado ed emarginazione.


L’emigrazione maschile era invece successiva al matrimonio e quindi comportava per le donne il rimanere da sole a gestire la casa e la terra. Guardando all’emigrazione in terra Brasiliana, che coinvolgeva intere famiglie, si nota come alcune situazioni si riflettessero eguali pur in ambienti completamente differenti: ampi poderi che spingevano verso la solitudine e pure anche verso la «libertà» e lo sviluppo delle giovani coppie, che in Italia avrebbero invece dovuto rimanere ancorate al resto della famiglia. E sempre gli spazi ampi portarono i figli ad allontanarsi dai genitori - che compravano loro gli appezzamenti quale eredità. In tutto ciò, nei primi decenni di migrazione, la donna recuperò una dimensione domestica, che cominciò ad abbandonare, ma solo negli ambienti più vicini alle città, dopo l’avvio dell’industrializzazione.

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