L’epopea dell’idroelettrico bellunese rivive in due libri

Le dighe, gli impianti, il Piave: nei volumi curati da Toni Sirena per il Corriere delle Alpi, la storia dall’Ottocento al Vajont

BELLUNO. C'era una volta il Piave. Di come si presentava nel suo aspetto naturale può conservare memoria diretta solo chi sia nato prima del 1922, anno della deviazione a Soverzene dal suo alveo naturale verso il lago di Santa Croce, le sottostanti centrali idroelettriche, infine il Livenza.

Sotto i ponti di Belluno oggi scorrono 12 metri cubi al secondo, ma per molti decenni si era arrivati a 5. La portata naturale media dovrebbe invece essere di 55. Un tempo nelle magre estreme il fiume non scendeva mai sotto i 25.

PIAVE, DOVE SEI FINITO? Nella provincia di Belluno ci sono oggi una ventina di grandi dighe, altrettanti laghi artificiali, decine di centrali, 200 chilometri di condotte. Il Piave e i suoi affluenti scorrono lì dentro. È un insieme di sistemi idroelettrici di straordinario valore ingegneristico e tecnico. Ma tutto questo ha comportato anche una radicale trasformazione del territorio, del regime delle acque, del rapporto tra l'uomo e il fiume.

Come ciò sia avvenuto è l’oggetto del libro, pubblicato per iniziativa del Corriere delle Alpi e di Editoriale Programma. I due volumi, che contengono anche 450 immagini spesso inedite, raccontano una vicenda che parte dalla fine dell'Ottocento e arriva al 1963, anno della nazionalizzazione delle società elettriche e della nascita dell'Enel, ma anche anno funesto, l'anno del Vajont.

Toni Sirena racconta l'epopea dell'idroelettrico nel Bellunese

OTTANTACINQUE. Da allora nessuna grande diga è stata più realizzata, rimase a metà l'unica che era in costruzione (a Digonera sopra Caprile), si bloccarono molti progetti in corso e l’idroelettrico, che era arrivato a coprire fino all'85 per cento della produzione nazionale, fu sopravanzato dal termoelettrico diventato più conveniente grazie alla disponibilità di combustibili a costi contenuti.

MEMORIA EVAPORATA. Ricostruire questo pezzo di storia, fondamentale per la provincia di Belluno nel bene e nel male, vuol dire restituire memoria e coscienza. Finora se n’è scritto in qualche sporadica pubblicazione, centrata su una singola diga o una singola valle, spesso solo dal punto di vista tecnico.

"VAJONT, ORA CAPISCO". Fa eccezione il Vajont, vicenda sulla quale si sono concentrati gli studi. Mancava però una visione d’insieme. Questo libro ora la fornisce, mettendo in relazione gli aspetti tecnici con quelli economici, sociali e ambientali. Senza tacere i contrasti: fra le società elettriche per la "conquista dei fiumi"; tra i grandi utilizzatori dell'acqua, cioè le società elettriche e gli irrigatori; tra le società (la Sade innanzitutto) e le comunità locali.

VASO DI COCCIO. La provincia di Belluno fa la parte del vaso di coccio tra vasi di ferro, uscendone sempre perdente. La Sade è il "dominus" indiscusso ma non incontrastato perché operano nel Bellunese altre società concorrenti. Fanno capo a due industriali di origine cadorina, Marco Barnabò e Valentino Vascellari, relegati però in secondo piano dalla Sade, una delle "sette sorelle" dell'elettricità che in quegli anni si spartiscono l'Italia in feudi elettrici, ciascuna monopolista (o quasi) nel proprio territorio. di competenza.

CONTROLLORI E CONTROLLATI. Non si capisce il Vajont se si perde di vista il contesto. Il Vajont è solo una parte del tutto, particolarmente funesta. Ma il "modus operandi" della Sade è lo stesso ovunque. Avvio di lavori senza autorizzazione. Abusi delle concessioni.

CANONI COSA? Regolarizzazioni in sanatoria. Istanze concorrenti smarrite nei cassetti degli uffici. Commistioni tra organi dello Stato e società concessionaria. Illustri scienziati che sono allo stesso tempo funzionari pubblici e consulenti Sade. Giorgio Dal Piaz è capo del servizio geologico del Magistrato alle acque e consulente storico della Sade, Francesco Penta è membro della commissione di collaudo sul Vajont e consulente Sade per Pontesei.

COLOSSO SADE. La diga di Pieve di Cadore viene studiata e progettata insieme da Sade e Servizio Dighe. "Ma senza disattendere il Regolamento", si legge nella relazione di collaudo, con una sospetta "excusatio non petita". Volpi è presidente della Sade e ministro delle Finanze, e firma le concessioni insieme all'amico Giuriati ministro dei Lavori pubblici.

ANNO DOMINI 1963. Il libro è un lavoro "aperto" sul Vajont e sollecita nuove ricerche. Fornisce una panoramica generale e pone alcune questioni. Sono stati consultati molti archivi pubblici e privati ma altri ne mancano.

I GRANDI MONOPOLI. La nazionalizzazione - o la pubblicizzazione in forma federale - era questione ancora aperta fino al 1922. Il fascismo affida ai grandi monopoli privati il compito di produrre l'energia per la modernizzazione (contribuendo lo Stato, peraltro, fino al 60 per cento dei costi). E' così che la Sade si incista nello Stato e diventa "uno Stato nello Stato".

Guido Beretta legge un brano del libro di Sirena sulle dighe bellunesi

VALLESELLA. C'è un passaggio cruciale nella storia dell'idroelettrico in provincia. Ed è quando nel 1950 si iniziano gli invasi del serbatoio del Centro Cadore e compaiono voragini sul terreno e lesioni alle case di Vallesella. Si riconosce alla fine che la colpa è della Sade e che l'unica soluzione "amministrativa" (cioè a termini di legge) è il ripristino della situazione precedente revocando o limitando la concessione, eppure lo Stato di diritto si arrende in nome dell'interesse nazionale e perché "la Sade non lo avrebbe accettato".

DOPPIO ARCO. L'intero sistema Piave-Boite-Vajont sarebbe rimasto "sovvertito". Se fosse stata applicata la legge anche il progetto del Vajont si sarebbe rivelato economicamente insostenibile. E forse la diga a doppio arco più alta del mondo non sarebbe stata realizzata, o il bacino sarebbe rimasto a livelli molto più bassi.

* Toni Sirena, giornalista e scrittore, è autore dei due volumi in edicola con il Corriere delle Alpi

 

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