L’idea dei gestori dei rifugi: «Andiamo sui social a spiegare i pericoli della montagna»
LONGARONE. Il Cai si mobilita contro la fruizione irresponsabile della montagna. Negli ultimi anni, grazie soprattutto alla forza dei social media, c’è stato un consistente aumento della frequentazione su sentieri e rifugi, spesso causa di comportamenti irrispettosi e danni ambientali.. Per fare il punto e proporre soluzioni, i Cai regionali di Veneto e Friuli, con le loro commissioni scientifiche e Tam e ben 35 sezioni locali, si sono ritrovati a Longarone Fiere per un convegno molto partecipato in cui si sono aggiunte anche le riflessioni sulle conseguenze del maltempo.
«I danni del meteo degli ultimi giorni», spiegano gli organizzatori Davide Berton e Chiara Siffi, «sono ulteriore stimolo per ripensare il modo di fruire la montagna. Negli ultimi anni c’è stato un boom di camminatori grazie alla promozione sui social, vere e proprie “ondate anomale” di persone. Attenzione però: un conto è che ci siano dieci persone sui sentieri. Diverso impatto è quando ce ne sono cento o mille con ovvie ripercussioni su flora, fauna e pulizia. Purtroppo molti di questi non sono preparati culturalmente e quindi il compito del Cai, attraverso tutte le sezioni e i soci, è quello di fare formazione e informazione».
«Dobbiamo ripartire dalla sostenibilità», aggiunge il presidente del Cai Veneto Francesco Carrer, «da questo convegno verranno prodotte alcune linee guida che vadano nella direzione del rispetto delle regole e dell’accoglienza. Questo a maggior ragione dopo il disastro dei giorni scorsi. Sul nostro sito è presente una prima mappatura di tutti i sentieri agibili, ripristinati grazie alla nostre sezioni e quelli ancora chiusi. Altro problema post maltempo sono i rifugi: non tanto per i danni materiali ma per quelli ai servizi come teleferiche, luce e acqua. Dobbiamo quindi ripartire dall’educazione e dai giovani».
Piuttosto desolante la testimonianza dei gestori di due famosi rifugi che in tempi recenti sono stati “presi d’assalto”. «C’è stato un incremento di arrivi enorme», ha detto Renato Leonardi del rifugio Papa in val Pasubio, celebre per le gallerie della prima guerra mondiale, «molti non hanno minimamente di idea di come si vada in montagna. Si incamminano senza zaino, solo con portafoglio, telefonini e pantaloni corti, senza ombrello o privi anche di una bottiglia d’acqua e poi si lamentano di non trovarne durante il tragitto. Non si contano gli svenimenti, con persone che non sono preparate per affrontare i dislivelli: guardano solo la loro mappa sul cellulare, valutando solo la distanza in linea retta da percorrere».
«Da 3 o 4 anni è scoppiata questa moda», aggiunge Emilio Pais del rifugio Vandelli vicino al lago del Sorapis, «la gente va in montagna e pretende servizi come se fosse in centro città. Uno di questi è il bancomat e ovviamente il bagno: la nostra struttura supporta una cinquantina di persone e spesso le toilette sono piene. Risultato: vanno a fare i loro bisogni sul retro, abbandonando rifiuti e salviette. Non parliamo poi delle attrezzature e delle scarpe. Ormai ci siamo messi anche a vendere scarponi, perché ci sono stati molti casi di persone senza calzature adeguate, che si ritrovano con le scarpe rotte senza suola. Una volta sono stato perfino chiamato da una persona che è rimasta senza scarpe ad inizio sentiero e voleva comunque proseguire come se nulla fosse. Troppe ogni volta anche le emergenze e chiamate al Suem per soccorso degli “impreparati”».
«Bisognerebbe fare una contro campagna social», concludono i due gestori, «che sia martellante e spieghi alla gente rischi e preparazione adeguata per la montagna. Ormai i semplici cartelli segnaletici servono a poco, perché vengono sempre ignorati». —
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