L’impresa De Cian Albino ha chiuso i battenti
BELLUNO. Un altro pezzo storico del panorama economico bellunese non c’è più. L’impresa di costruzioni “De Cian Albino Sas di De Cian Albino e figli” è fallita lasciando a casa 18 dipendenti.
Fondata nel 1975 da Giacomo De Cian, in attività da diversi decenni nel Bellunese, la ditta era stata poi guidata dal figlio Albino che ha diretto come capocantiere importanti lavori di restauro, indirizzando la nuova attività verso questa tipologia di opere. Verso la fine degli anni Ottanta, con l’ingresso dei sei figli l’impresa si è sviluppata ulteriormente diventando una delle più qualificate realtà del Veneto.
Si ricorda il recupero dell’ex ospedale di via Caffi, il restauro della Prefettura, di piazza Maggiore a Feltre, la ristrutturazione dell’osservatorio del Monte Rite, solo per citarne alcuni.
Ma nel 2014, a causa della crisi economica e del rallentamento degli appalti pubblici, la De Cian Albino Sas ha avviato la procedura di concordato preventivo in continuità, con l’obiettivo di procedere a una ristrutturazione funzionale e al rilancio dell’attività, tutelando i committenti, i fornitori e i dipendenti, che all’epoca erano una trentina. Da allora, una decina di lavoratori se n’è andata, mentre l’azienda ha cercato di uscire dall’impasse vendendo alcuni immobili. Ma non è bastato. Infatti, qualche mese fa una banca creditrice ha chiesto al tribunale di Belluno la revoca del concordato che ha generato quindi il fallimento. «Noi eravamo partiti con la speranza di poter risollevare le sorti dell’azienda», commenta Carletto De Cian, uno dei titolari, assistito dall’avvocato Giorgio Azzalini, «abbiamo venduto a prezzi ribassati, visto il momento difficile per il settore immobiliare, parte del patrimonio aziendale, ma purtroppo non siamo riusciti a pagare tutti i creditori, tra cui appunto un istituto di credito che ha chiesto la revoca del concordato. E così c’è stata la sentenza di fallimento». Per Carletto De Cian si infrange così un sogno durato oltre 40 anni. «Abbiamo sempre lavorato guardando alla qualità, e in questi mesi abbiamo cercato di ultimare, il più possibile, i cantieri che avevamo aperti sia pubblici che privati. Purtroppo il sistema bancario se da un lato dà i prestiti per risollevare le imprese, dall’altro ne chiede la restituzione veloce e questo mette in ulteriore difficoltà le aziende. Peccato, eravamo sulla buona strada per poter uscire dal guado», precisa il titolare che non si arrende: «Questo è il nostro mestiere e su questa strada continueremo a muoverci».
Ma poi lancia un appello alle amministrazioni pubbliche affinché «negli appalti tengano in maggiore considerazione le imprese locali, che altrimenti rischiano di chiudere».
Intanto, il sindacato di categoria ha già avvisato i 18 lavoratori rimasti in attività in questi anni e presto sarà anche organizzata un’assemblea «per spiegare come devono muoversi per insinuarsi nel fallimento e vedere riconosciuto quanto dovuto», precisa Adriano Tiziani della Feneal Uil che sottolinea come ad oggi questi operai siano stati messi in cassa integrazione per eventi climatici. «Dovremo richiamare anche i lavoratori che nel frattempo se ne sono andati perché, se dopo il concordato tutti hanno ricevuto quanto dovuto, prima molti avanzano ancora dai 3 ai 10 salari, oltre al Tfr. Presto arriveranno anche le lettere di licenziamento: da qui il personale potrà iniziare a chiedere la Naspi, cioè l’indennità di disoccupazione. Peccato che un’altra azienda importante del Bellunese sia stata costretta a chiudere».
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