«L’innovazione è la chiave per formare i giovani»

Trentasette anni, di cui dieci passati a pensare eventi per animare il capoluogo Il punto di vista del bellunese Stefano Casagrande, anima di BellunoLaNotte
Di Valentina Voi

BELLUNO. Largo ai giovani. È quanto chiede Stefano Casagrande, 37 anni, bellunese di Baldenich. Da dieci anni propone, attraverso l’associazione BellunoLaNotte, eventi di intrattenimento e svago per la città come per esempio la Notte della Musica e il Bridge Xtreme Festival. All’associazione unisce la sua attività, che svolge per una ditta trevigiana, nel settore degli eventi aziendali. Un punto di vista diverso, quello di Stefano, che può aiutarci a capire i sogni e le aspirazioni di chi ha scelto di restare.

Che definizione darebbe di Belluno?

«È una bellissima città in cui vivere, io sono nato e abito qui, mi sono spostato di 40 metri ma all’interno dello stesso quartiere. Dal punto di vista della qualità di vita si sta molto bene, il problema è la direzione da prendere: bisogna capire dove sta andando il mondo e le moderne chiavi di lettura sembrano essere quelle dell'innovazione e dell’industria 4.0. Questi sono argomenti quasi quotidiani quando parli di futuro e sviluppo economico perché l’Europa ha l’occasione di anticipare la grande rivoluzione industriale che è in atto».

Si tratta di un fenomeno diverso da quello che il mondo ha conosciuto in passato. Niente a che vedere con l’industria pesante.

«Tutto si gioca sull’innovazione tecnologica. Il lavoro non sarà più come quello di una volta, i lavoratori stessi diventeranno piccoli imprenditori, con compentenze e specializzazioni elevate. Girare il mondo e conoscere le lingue sarà sempre più importante».

E qual è la base di partenza?

«I giovani. È a loro che bisogna offrire possibilità di formazione e specializzazione».

Nel nostro caso il problema forse sta a monte: a Belluno i giovani sono pochi.

«Questo è un problema enorme, il territorio si sta spopolando. Per questo non possiamo stare fermi».

Al di là del problema dello spopolamento derivato dal calo demografico c’è anche il fenomeno dei molti giovani che si spostano durante o dopo la formazione universitaria.

«Questo è giusto, fare l’università o esperienze di lavoro fuori dal proprio ambiente apre la mente. Bisognerebbe dare ai giovani la possibilità di fare esperienze professionali all’estero e poi riportarli qui. Bisogna partire dalla formazione».

Cosa dovrebbe fare un Comune per incentivare i giovani?

«Mettere in rete amministrazione, industria e scuola, come è stato fatto a Feltre».

Un altro versante è quello degli spazi destinati ai giovani. Sono sufficienti?

«Cinque-sei anni fa avevamo provati a chiedere uno spazio di co-working da mettere a disposizione di chi vuole sviluppare una sua attività, magari confrontandosi con altre persone. L’avevamo chiesto al Comune ma non ne abbiamo più sentito parlare e abbiamo dovuto lasciar perdere questo progetto».

Eppure non mancano gli spazi in città.

«Il co-working non costa poi molto: bastano mobili a basso costo e una connessione internet. I musei sono una buona cosa per la cultura ma bisogna pensare anche ai giovani. Bisogna ammettere però che questi servizi funzionano meglio in una grande città».

Ma forse è proprio questo il motivo per cui i giovani se ne vanno.

«Anch’io per lavoro sono costretto a spostarmi. E poi qui a Belluno c’è un problema legato al turismo, manca un’immagine coordinata della città. Si parla di centro storico, di Nevegal, di quartieri: non c’è, però, un’immagine coordinata. Anche in questo caso servono competenze, gli eventi da soli non bastano. Di turismo potremmo viverci ma chi passa di qui non sa né dove andare né cosa fare. Servono figure specializzate e formate dal punto di vista professionale, dei manager del turismo».

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