L’occhialeria va a rilento: le grandi aziende chiedono la cassa
Le produzioni cinesi rallentano e l’occhialeria rischia di affondare nelle difficoltà. Vista la malaparata, nei giorni scorsi alcune delle grandi aziende del settore, come Safilo, Marcolin, De Rigo, oltre a molte realtà più piccole, hanno firmato la richiesta di cassa integrazione ordinaria fino alla fine di aprile. Una situazione che evidenzia il forte impatto che il coronavirus ha nei fatturati delle imprese.
Le produzioni
A partire per prima con la richiesta di cassa integrazione era stata Safilo, che ha un’azienda a Suzhou: a causa dell’epidemia, l’azienda ha rallentato le produzioni di parti importanti per la realizzazione degli occhiali allestiti a Longarone. Nel mese di febbraio i 900 dipendenti della fabbrica longaronese erano rimasti a casa diverse giornate a casa, a seconda dei reparti interessati dalla carenza di materie prime. Lunedì, poi, visto che la situazione a Suzhou non si sblocca, i vertici sono stati costretti a richiedere altre dieci giornate di cassa fino al 9 maggio. E questo nella speranza che, nel frattempo, ci sia la ripresa a pieno ritmo nel Far East. «Si tratta di una decina di giornate prese in via preventiva, ma non è detto che vengano utilizzate», sottolinea Giuseppe Minonne della rsu di Safilo.
Come era pensabile, però, il problema non riguarda soltanto Safilo. Anche Marcolin e De Rigo hanno richiesto giorni di cassa fino alla fine di aprile. «Il problema sono i fornitori e il rallentamento della produzione delle materie prime», spiega Denise Casanova, segretaria della Filctem Cgil che aggiunge: «Non sappiamo come evolverà questa situazione. La cosa certa è che questa epidemia avrà un impatto pesante sulla produzione e soprattutto sui fatturati delle società. Ancora è presto per capire a quanto ammonterà il deficit, ma è chiaro che il contraccolpo sarà molto importante».
Per Nicola Brancher, segretario della Femca Cisl, «l’impatto coronavirus peserà su tutte le imprese, non solo sul pianeta occhiale. Il problema vero sarà capire come conciliare la redditività con la catena del valore del prodotto. Ancora è presto per capire come andrà a finire e come cambieranno gli scenari economici e produttivi».
La situazione nelle fabbriche
Tutte le imprese bellunesi si stanno attrezzando per applicare le disposizioni in materia di prevenzione del contagio. Luxottica, ad esempio, ha deciso di dotare ogni stabilimento di erogatori di disinfettante, che sono stati piazzati ovunque; quotidianamente, poi, vengono sanificati i vari locali: da Agordo a Sedico fino a Milano. E per placare l’ansia e la preoccupazione che può cogliere i dipendenti per questo allarme, il colosso dell’occhiale ha deciso di rafforzare il servizio di ascolto e supporto alla persona, attivo 24 ore su 24 e sette giorni su sette: è stata aperta una finestra dedicata all’emergenza Coronavirus, dando così modo a chiunque ne senta il bisogno di parlare con un professionista esperto. Il tutto in modo anonimo, riservato e senza alcun costo di chiamata.
Sanificazione degli ambienti anche nella fabbrica di Safilo a Longarone, dove i dipendenti hanno chiesto dispenser di detergente a base di alcol per lavarsi le mani. Su questo punto l’azienda si è detta disponibile a collaborare: saranno installati nei prossimi giorni.
Stesse precauzioni anche alla Clivet di Feltre, dove è stato raccomandato al personale di tenere le dovute distanze da una persona all’altra e dove sono state ribadite le norme igieniche da rispettare, come lavarsi le mani e coprirsi la bocca quando si tossisce. L’azienda ha anche raccomandato ai lavoratori di limitare, nel tempo libero, la frequentazione di luoghi affollati e di rimanere nelle proprie abitazioni.
Per valutare potenziali situazioni di rischio, infine, ieri mattina all’ingresso in azienda è stato chiesto a tutti i dipendenti di compilare un questionario. Tra le domande spiccavano le seguenti: “Negli ultimi 14 giorni sei entrato in contatto con persone delle zone “rosse” del Veneto? Ti sei recato nelle zone “rosse? Hai frequentato luoghi affollati?”. L’iniziativa non è piaciuta alla Fiom Cgil, che ha dato disposizione agli iscritti di non rispondere. «Si tratta di domande che entrano nella sfera personale delle persone e quindi non si è tenuti a rispondere», precisa Stefano Bona, segretario di categoria a Belluno. «Noi chiediamo che in ogni azienda vengano svolte delle riunioni per capire i comportamenti da tenere in base alle indicazioni ministeriali». —
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