L’orso torna sulla tomba dell’asino
TAMBRE. Caccia fotografica all’orso, probabilmente Gen 15.Ed i risultati sono straordinari, come si può constatare. Si pensi, soltanto, che l’animale è ritornato per ben tre volte là dove aveva sbranato un’anima, colpevole soltanto di aver preso le difese del suo piccolo, che era il vero bersaglio del plantigrado. Non trovando la carcassa, ma evidentemente annusando l’odore, ha provato a scavare la tomba. L’asina, infatti, era stata sepolta ad una profondità di quattro metri.
Povero orso, ha dovuto desistere. Ma pare che in zona sia ritornato altre volte, anche lungo i recinti della stalla di Paolo Casagrande, il presidente dell’Anpa, l’associazione che tutela numerosi allevatori.
Anche Casagrande, guarda caso, alleva asini. Gli scatti sono di un’incuriosita ma intrepida ragazza di Tambre, che ha orientato l’obiettivo in particolare sulle graffiature delle zampe dell’orso sul terreno. Graffiature che lasciano intendere movimenti rabbiosi.
«È tipico dell'orso non mangiare subito la preda uccisa ma tornare dopo un giorno o anche più giorni», riferisce Toio De Savognani di Mountain Wilderness, che in questi giorni non finisce di raccomandare di stare tranquilli e di non importunare l’ospite se lo si intercetta nel bosco, «forse per permettere alla carne di frollarsi un po', l’orso insomma non sembra gradire il gusto delle prede appena uccise».
Forse varrebbe la pena di valutare di lasciare le prede sul posto per almeno 3 o 4 giorni prima di seppellirle, suggerisce De Savorgnani, come previsto e fatto eseguire dai veterinari che compiono il sopralluogo e obbligano al seppellimento per problemi sanitari. «Se l'orso potesse cibarsi della preda, non andrebbe in cerca di altre vive da uccidere, come è successo l’estate scorsa sull'altopiano di Asiago quando il plantigrado uccideva le mucche, una alla volta, e subito le carcasse venivano portate via, così quando l'orso tornava per cibarsene e non la trovava, ne uccideva un'altra».
In ogni caso Mountain Wildwerness si augura che nessuno ceda alla tentazione di risolvere il problema con bocconi avvelenati. «Gli allevatori, pur subendo gravi danni, e il mondo venatorio, hanno dimostrato fin qua una notevole maturità ed il comportamento, per quello che se ne sa, è stato corretto. La speranza è», conclude De Savorgnani, «che gli enti pubblici facciano la loro parte con gli indennizzi e che si continui così, anche per non provocare quella conflittualità esasperata che si è verificata in Trentino dopo l'uccisione della orsa Daniza».
Conflittualità che per ora le associazioni venatorie e degli allevatori si sentono di escludere: non a caso gli stessi allevatori del Cansiglio hanno escluso di aver disperso esche al veleno contro i nuovi predatori, orsi o lupi che siano. E a liquidare l’ipotesi è Franco Pianon, presidente della cooperativa Fardima: «È un’accusa infamante», e non dice altro.
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