«Lottiamo per mantenere i documenti a Belluno»
BELLUNO. I documenti del processo Vajont devono restare a Belluno. È l’appello unanime uscito dall’Archivio di Stato, dove da dicembre è allestita una mostra dedicata proprio ai documenti prodotti durante il processo terminato quasi sette anni e mezzo. Ben 150 mila carte arrivate da L’Aquila e in deposito all’ex chiesa di Santa Maria dei Battuti, per concessione del Ministero per i beni e le attività culturali.
«Un deposito che è però temporaneo e finalizzato allo studio e alle duplicazioni», precisa Maurizio Reberschak, direttore scientifico della mostra. Una volta completato il lavoro sui documenti, questi ultimi dovranno infatti tornare in Abruzzo, dove dopo il 1968 era stato spostato il processo. I 252 faldoni erano poi tornati a Belluno nel 2009, a seguito del terremoto che aveva colpito L’Aquila. «La legge archivistica», aggiunge Reberschak, «se da un lato prevede che i documenti debbano tornare nella sede di partenza, in questo caso L’Aquila, dall’altro ammette delle deroghe: la logica vorrebbe quindi che trovassero collocazione nel luogo in cui è stata prodotta la maggior parte di questi documenti». Quindi Belluno, visto che proprio nel capoluogo fu prodotto, dal giudice istruttore Mario Fabbri tra il 1963 e il 1968, ben l’88% della documentazione del processo.
Ora, la richiesta per far sì che le carte restino all’Archivio di Stato di Belluno dovrebbe pervenire dalla Direzione generale degli archivi. «Ma perchè questo avvenga», tiene a sottolineare Reberschak, «bisogna che ci sia una dimostrazione di interesse in questo senso da parte di molti soggetti, dalle istituzioni ai Comuni, passando per la Regione».
Insomma, solo una volontà condivisa a livello territoriale potrà permettere che il materiale del processo trovi la sua collocazione nel luogo «dove è ancora presente il sangue dei nostri morti e dove è giusto che rimanga», mette in risalto lo storico “informatore della memoria” Umberto Olivier. «Assolutamente necessario, quindi, che venga messa in piedi un’azione congiunta e che l’Archivio non venga abbandonato a se stesso in questa operazione».
«Faremo di tutto perchè i documenti restino a Belluno», assicura Roberto Padrin, sindaco di Longarone e presidente della Fondazione Vajont. «Inizieremo da subito a prendere i contatti necessari». «Se si riuscirà in questo intento», aggiunge Reberschak, «sarà una forma di risarcimento etico e civile per un orrore prodotto anche a colpa dello Stato. Permettendo che la documentazione rimanga nel nostro territorio è un modo per lo Stato, almeno in parte, di rimediare».
Martina Reolon
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