Ludopatia, dipendenza in continua crescita
BELLUNO. È di circa 90 miliardi di euro il giro d’affari che muove annualmente il gioco d’azzardo. Un’enormità se si considera che lo stato, pur investendo molto in questo campo, ci guadagna appena 8 milioni di euro all’anno. Cifra che si mantiene tale dal 2012 nonostante un incremento del business pari al 400%. Tale situazione è dovuta alla presenza di slot machine illegali (circa 200 mila), ossia con schede manomesse o estere e quindi non registrate correttamente, alle mafie e ai costi sociali (5,5-6,6 miliardi di euro) di cui lo stato si fa carico per curare le persone che sviluppano una dipendenza.
Ma cos’è il gioco d’azzardo e come riconoscere i giocatori patologici?
«Si parla di gioco d’azzardo», ha affermato Valentina Casella, psicologa del gruppo Abete di Torino, «quando si scommette denaro o un oggetto di valore, quando tale scommessa è irreversibile e quando il risultato dipende, principalmente, dal caso».
«Il giocatore può essere di vari tipi: sociale, problematico, patologico e patologico dipendente», ha continuato Casella. «Ciò che fa la differenza è il pensiero che sta dietro al gioco. Certo, contano anche il tempo e il denaro investiti ma è soprattutto l’intenzione a fare la differenza, anche se a un certo punto si entra in un circolo vizioso in cui non si riesce a smettere di giocare perché o viene posta una fiducia irrazionale sulle possibilità di vincita o si vuole recuperare quanto si ha perso».
Tuttavia il gioco d’azzardo, a meno che non sia truccato, ha probabilità scientificamente provate. Giusto per fare qualche esempio, sono maggiori le possibilità di ottenere testa lanciando due volte una moneta o di morire in un incidente stradale (1/20 mila) che fare una scala reale massima al poker tradizionale di 52 carte (1/650 mila) o addirittura di vincere al Superenalotto con una sestina (1 su 622 milioni).
L’inganno proviene dalle pubblicità che veicolano messaggi sbagliati ma semplici e attraenti. Vi sono però alcuni segnali che devono accendere un campanello d’allarme: la persona non riesce a smettere di pensare al gioco; spende di più di quello che aveva previsto; rinuncia alle sue abitudini lavorative e/o familiari; ha sbalzi d’umore o stress se cerca di smettere.
«Negli ultimi anni il numero delle persone che vengono a chiedere aiuto è cresciuto in modo esponenziale», ha spiegato la dottoressa Casella. «Siamo partiti da un paio di persone 5-6 anni fa e arrivati a una media di 30. Nel nostro territorio i SerD (servizi per le dipendenze) hanno attivato lo sportello Gap (gioco d’azzardo patologico) a cui le persone possono aderire. La difficoltà più grande da superare è la vergogna. Coloro che hanno questo problema non si riconoscono dipendenti e fanno fatica ad accedere a un servizio che nella storia è legato ai tossicodipendenti. La percentuale di ricaduta è poi altissima. Qualcuno ne è uscito ma non è possibile dire se a lungo termine si guarisca completamente, perché è un fenomeno ancora poco studiato».
Una cosa è certa: bisogna insistere sulla prevenzione, soprattutto tra i giovani, e su alcune politiche differenti, come nel caso di comuni che hanno promosso bar e tabacchini senza slot-machine.
È ancora presto per fornire dati locali precisi perché è un fenomeno sommerso. Ci sono più stime riguardo agli investimenti che al numero di giocatori: nel 2012, infatti, il gioco d’azzardo costituiva il 10% dei consumi.
«È una crisi economica ma soprattutto relazionale», ha concluso Casella. «I giocatori sono persone indebitate e sole. Ecco perché è necessario coinvolgere la famiglia, senza cui il trattamento risulta impossibile sia dal punto di vista finanziario che emotivo».
Davide Piol
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