L’Usl suona l’allarme zecche
«Salgono sempre più in quota», colpa del riscaldamento globale. Aumento dei rischi di trasmissione di malattie pericolose
BELLUNO. Le zecche salgono in quota. E questo per effetto del riscaldamento globale. E con loro aumentano i rischi di trasmissione di malattie “pericolose” per l’uomo come il morbo di Lyme e l’encefalite da morso di zecca, chiamata comunemente Tbe. Quest’anno, all’ospedale San Martino di Belluno, sono stati curati già due casi di Tbe nell’unità operativa di Malattie infettive diretta dal primario Ermenegildo Francavilla. «L’encefalite è considerata a livello nazionale come una patologia emergente», precisa Francavilla, «e l’Istituto superiore di sanità sta raccogliendo da tutti gli ospedali i casi notificati per creare un data base. A livello nazionale i casi di Tbe dal 2000 al 2016 sono stati 453, oltre il 40% (181) registrati nel Bellunese. Il picco lo abbiamo registrato l’anno scorso, quando nel giro di pochi giorni abbiamo dovuto trattare otto casi di Tbe. Un caso particolare che ha avuto grande rilevanza a livello nazionale. In tutto, quindi, nella nostra provincia abbiamo visto oltre 220 casi».
Ma a creare un nuovo allarme è che questi parassiti emotofagi stanno salendo in quota. «È stato calcolato che l’aumento di 0,6 gradi centigradi dell’atmosfera corrisponde a un innalzamento della presenza di zecche anche di 100 metri. Questo significa che possiamo trovarle non solo nei giardini di casa, ma anche sopra i 1200 metri».
Ad oggi sono diverse le aree dove è più facile trovare le zecche. Nelle Dolomiti si trovano soprattutto nella parte più meridionale, indicativamente intorno al corso del fiume Piave: Monti del Sole-Feruch, sottogruppo del Pizzocco e gruppo della Schiara. Sono assai diffuse anche lungo la sinistra idrografica della Valle del Piave (Prealpi Carniche).
«Continua a essere presente e diffusa anche la malattia di Lyme. Si tratta di una patologia con cui la popolazione è abituata a convivere e che viene curata anche dai medici di medicina generale tanto che spesso questi casi non vengono notificati. Comunque, dal 1980 ad oggi abbiamo visto 1.800 casi».
L’unico modo per evitare brutte sorprese se si frequenta la montagna resta la vaccinazione. Si tratta di tre dosi di vaccino che costano 47 euro l’una per gli adulti e 39 euro per i bambini. «I sieri sono piuttosto costosi», dice il direttore del Dipartimento di Prevenzione, Fabio Soppelsa, «ma sta aumentando la loro richiesta. Nel 2012 abbiamo somministrato 1.900 i vaccini, mentre l’anno scorso sono balzati a 3.560. Ora la richiesta è ancora molto alta».
(p.d.a.)
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