Mancano i medici, arrivano gli infermieri

Al via un progetto per professionalizzare queste figure così che possano intervenire sul territorio

BELLUNO. Sarà l’infermiere la nuova scommessa per il futuro della sanità. È emerso chiaramente ieri pomeriggio nel corso del convegno organizzato dalla Cisl dal titolo emblematico “Prossimità e comunità per la cura della salute in montagna”. Il tema era la medicina integrata di gruppo e le Utap «perché l’interesse del sindacato», come ha sottolineato Anna Orsini, segretaria aggiunta della Cisl, «è anche capire come questi modelli possano essere calati sul territorio e se si possa incrementare il personale già deficiatario con altre figure professionali».

Le figure deficitarie, per la montagna, sono propri i medici. Ecco allora che un valido supporto per far sentire meno questa mancanza diventa l’infermiere. E sulla maggiore specializzazione di questa figura sta puntando sia l’Usl 1 che la Regione che sta correndo ai ripari attraverso un’attività sperimentale che porterà all’identificazione di protocolli operativi per gli infermieri appunto del Suem perché l’assistenza immediata sia così garantita, usufruendo anche delle possibilità tecnologiche attuali. Ma professionalizzazione significa responsabilità maggiori.

«La nostra Usl e in particolare il Suem», precisa il direttore generale Pietro Paolo Faronato, «faranno da capofila in questo progetto per stilare i protocolli da condividere con le altre Usl. Un po’ come abbiamo fatto per i parti fisiologici che ad oggi sono seguiti esclusivamente dalle ostetriche e non più dal medico». Insomma, il medico resterà soltanto per i casi di emergenza più gravi, per tutto il resto ci sarà l’infermiere: sarà il braccio operativo dei medici di medicina generale, e sarà tra i protagonisti delle urgenze. «Non dimentichiamo che ormai tutte le ambulanze hanno un elettrocardiografo che trasmette direttamente all’ospedale il tracciato e così via telefono il medico potrà dire all’infermiere come muoversi anche a distanza. E questo è uno dei modi per garantire appropriatezza, qualità di intervento», precisa Faronato.

Ma tornando alle medicine di gruppo integrate, ad oggi nel Bellunese ci sono quelle di Longarone e Comelico (Utap), «anche se gran parte dei medici lavorano in rete condividendo le informazioni, mentre soltanto cinque sono quelli che ancora lavorano da soli».

Ma se diventa facile applicare un modello simile in alcune zone, come ha sottolineato il sindaco di Calalzo, Luca De Carlo che «punta sulla pluralità delle figure professionali sul territorio per rispondere ai bisogni della popolazione» e tranquillizza i cittadini «perché nella delibera regionale è previsto che i vecchi ambulatori vengano tenuti», ci sono parecchie difficoltà in realtà più isolate e piccole come Sovramonte. Il primo cittadino, Federico Dalla Torre infatti ha evidenziato come «prima c’era un medico con 5 ambulatori, poi siamo stati costretti a tenerne uno solo. Ma subito si è parlato di medicina integrata: ma non si può fare se non ci sono i soldi per sistemare i locali per gli ambulatori, per garantire i collegamenti digitali e soprattutto se non si pensa a qualche soluzione per il trasporto, perché non si può sempre ricorrere al volontariato. In montagna le opportunità costano», ha concluso Dalla Torre, «allora ci servono risorse adeguate». (p.d.a.)

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