«Martino pretendeva rimborsi totali anche se non si poteva»
BELLUNO. «Mi ha chiusa in una stanza, alla presenza di alcuni colleghi per farmi dire che avevo i codici della carta di credito del Parco e quindi che avrei potuto usarla anch’io». Due testimonianze di peso, ieri, nel processo bis a Vitantonio, detto Nino, Martino, ex direttore del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi. In questo secondo processo, Martino deve rispondere di oltre 30 campi di imputazione relativi agli anni dal 2005 al 2011, nei quali si ipotizzano i reati di truffa aggravata, peculato, falso, abuso d’ufficio e turbativa d’asta. Dopo il dirigente del ministero dell’Ambiente Giuseppe Cosentino, chiamato a testimoniare sugli accessi di Martino al ministero, e l’ex presidente Guido De Zordo, che ha parlato soprattutto dei viaggi istituzionali, hanno testimoniato la responsabile della comunicazione che svolgeva anche funzioni di segreteria del direttore, Francesca Schiffino, e il ragioniere del Parco Stefano De Paoli.
È la Schiffino (ma dopo ha confermato anche De Paoli) a raccontare l’episodio legato alla carta di credito, avvenuto a poche ore dalla prima perquisizione della Guardia di finanza, nel maggio del 2011, in un clima di estrema tensione. La segreteria si occupava di prenotare voli e alberghi su richiesta del direttore, sia alla presenza di una convocazione ufficiale, che senza. Schiffino fu tra quanti, tra i dipendenti del Parco, si rifiutò di partecipare alla presentazione del libro di Martino “Parchi di una sola terra”, libro che non era del Parco ma le locandine per l’evento di Belluno furono pagate dall’ente e, dopo un primo invito del vice a presentarsi in massa e con la divisa ufficiale, invito che raccolse poche adesioni, il direttore emanò un ordine di servizio.
A spiegare come avvenivano i rimborsi è stato De Paoli. Al rientro da ogni missione, Martino portava in ragioneria tutte le pezze giustificative di spesa e De Paoli compilava la tabella di liquidazione che comprendeva sia le spese da rimborsare a Martino che quelle fatte con carta di credito dell’ente, da validare. Il documento finale era approvato dallo stesso Martino. De Paoli ha spiegato che la norma impone dei limiti sia nel numero dei pasti che nel loro costo, in caso di missione, «ma Martino pretendeva il rimborso integrale, anche quando andava oltre questi limiti». Oltre ai vincoli di legge, il problema è che il Parco aveva a bilancio somme esigue per le missioni del personale e così, per i rimborsi, si prendevano risorse dal capitolo della rappresentanza.
«La mia situazione contrattuale mi impediva di ribellarmi. Quando ho evidenziato che alcune cose non andavano bene, il direttore mi ha risposto “puoi sempre trovarti un altro lavoro”. Quando si lavora in uno stato di regime non si può dire di no», ha spiegato il ragioniere che ha anche attirato l’attenzione del collegio (giudici Coniglio, Scolozzi e Cittolin) per due affermazioni, subito sottolineate al pubblico ministero Marco Faion.
De Paoli, infatti, ha spiegato che Martino impediva ai dipendenti di aver contatti con l’estero e soprattutto con i revisori dei conti, ma il ragioniere parlò con almeno due di loro, suggerendo di controllare le spese per le missioni perché c’era qualcosa che non andava. Ma i revisori non fecero mai rilievi su questo aspetto. È un’ipotesi di reato e la procura dovrà verificare, così come bisognerà controllare perché De Paoli (come ha detto lui stesso) ieri era considerato in missione ed ha raggiunto il tribunale con l’auto del Parco.
Prossima udienza il 26 ottobre.
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