Medici di famiglia in calo: «È tutta colpa dell’Usl»
BELLUNO. «Se i medici che arrivano in provincia di Belluno dopo poco decidono di andarsene, la colpa è dell’Usl che non ha mai voluto applicare la norma regionale che prevede contributi aggiuntivi per le zone disagiate o disagiatissime».
Il presidente dell’Ordine dei medici provinciale, Umberto Rossa e il fiduciario di categoria, Fabio Bortot, sono sul piede di guerra, dopo l’allarme lanciato dal direttore del Distretto, Sandro De Col sull’emergenza che scatterà entro i prossimi cinque-sei anni, quando la metà dei medici di famiglia andrà in pensione. «E non sarà facile sostituirli», dice De Col.
Attualmente sono 87 i medici convenzionati di cui 24 in Cadore, 14 in Agordino e 44 nel Bellunese per un totale di 111.221 assistiti. Undici i pediatri di libera scelta, di cui 3 nel Cadore, 2 nell’Agordino e 6 nel Bellunese per 9.160 pazienti.
«È vero che fra 5-6 anni un’intera generazione di medici andrà in pensione, quelli per capirsi che si sono laureati negli anni Ottanta», dicono Rossa e Bortot.
Sono anche quelli che hanno più di 60 anni e vogliono andarsene «perché il lavoro è diventato davvero pesante. Si pensi che una volta il numero di pazienti era 1.500, adesso l’80% dei colleghi supera abbondantemente questa cifra. E fare bene il nostro lavoro è diventato difficoltoso», prosegue il fiduciario che aggiunge: «E i ricambi non ci sono. Questo è un problema di tutte le realtà, ma a Belluno questo diventa ancora più problematico per la sua conformazione geografica».
Se non si trovano facilmente professionisti di medicina convenzionata, ma anche specialisti, «è perché l’Usl 1 e l’Usl 2 non hanno mai voluto applicare una norma regionale del 2000 che prevede contributi aggiuntivi per chi lavora in zone disagiate. Quindi se ci troviamo in queste condizioni», spiega il presidente dell’Ordine, «è perché l’azienda sanitaria non ha mai voluto affrontare in maniera completa il problema, cioè dare il giusto riconoscimento a chi lavora in montagna. Effettuare in lavoro tra i monti è più oneroso dal punto di vista dell’impegno e dei costi familiari. La responsabilità è dell’azienda che non solo non ha dato i contributi, ma sempre messo degli ostacoli».
«Se questa norma regionale è stata applicata a Verona e Venezia, qui da noi si è sempre rinviato da una direzione generale all’altra. In un primo momento c’è stato un rimpallo di responsabilità tra Usl e Regione su chi dovesse pagare, poi Venezia ha deciso che fosse l’azienda a pagare dal suo budget. E siccome i conti sono sempre più risicati, non si applicherà mai», ribadisce Bortot. A questo si aggiunge il numero chiuso delle facoltà di medicina «che la Regione dovrebbe togliere o perlomeno considerare quanti medici servono e far entrare in specialità il numero necessario», dice Rossa.
Ma il territorio dovrà fare i conti anche con la diminuzione di medici disponibili a seguire le case di riposo.
«Il lavoro è pesante e richiede una disponibilità di 12 ore al giorno. Consideriamo che quello che un medico riceve come compenso all’ora per l’attività, è fermo da 15 anni ed ammonta a 0.15 euro. Una cifra irrisoria che al mese equivale a 45 euro. Ma in molti continuano ancora a farlo per spirito di servizio, perché il nostro compito è garantire un servizio alle persone», concludono Rossa e Bortot.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi