«Melaiu ha tenuto tutto per sè, l’unico reato è la truffa»

L’avvocato chiede di trasferire il procedimento a Milano e ammette un’accusa per smontare le altre
Di Irene Aliprandi
Addis Melaiu all'uscita del tribunale
Addis Melaiu all'uscita del tribunale

BELLUNO. Meno di venti minuti di arringa difensiva per il principale accusato di uno dei processi più importanti degli ultimi anni. Lezione di sintesi da parte dell’avvocato Stefano Pelizzari del foro di Lecco, protagonista dell’udienza di ieri del processo Gd Consulting, arrivato alle battute conclusive. Al legale di Addis Melaiu è toccato il compito di concludere lo spazio riservato alle difese dei 14 imputati. Il 13 novembre inizieranno le repliche e subito dopo il collegio giudicante (formato dai giudici Trentanovi, Coniglio, Scolozzi) si ritirerà per pronunciare la sentenza.

Gianpiero Addis Melaiu, l’italo svizzero di 42 anni considerato la mente della mega truffa consumata ai danni di 430 risparmiatori, è stato il grande assente di questo processo: contumace a tutte le udienze, Melaiu ha parlato una volta sola, il 10 giugno del 2006, davanti al pm di allora Massimo De Bortoli (oggi al suo posto c’è il pm Antonio Bianco) in fase di indagine. Ieri Pelizzari ha citato quell’interrogatorio, scusandosi per «la frase infelice, sollecitata da chi lo assisteva allora e giustamente censurata dal pm». Melaiu, allora detenuto a Baldenich in cella di isolamento dove rimase per sei mesi, tentò la strada della trattativa con una proposta irricevibile: «I soldi li ho investiti in paradisi fiscali, se mi fate uscire ve li do». Poi il silenzio e chi aspettava le conclusioni di ieri sperando in qualche colpo di scena, è rimasto a bocca asciutta.

L’avvocato di Melaiu ha scelto di entrare il meno possibile nel merito, concentrandosi su una strategia “tecnica”: smontare le accuse più pesanti e farle convergere tutte nell’unico reato da ammettere: la truffa, ormai prossima alla prescrizione. La premessa, però, è sull’incompetenza territoriale dei giudici bellunesi che hanno già rigettato la richiesta di trasferire il procedimento a Milano «ma potete cambiare idea fino alla fine». Milano era la sede base dell’organizzazione, dell’ideazione, della programmazione e della direzione di tutto; per il legale è irrilevante dove si commette il reato fine, cioè la raccolta dei soldi, quel che conta è dove venivano convogliati i denari.

Nel merito, l’avvocato parte dal reato più grave, il riciclaggio per aver esportato un milione e 700 mila euro, proventi dell’attività “in nero” del costruttore Ermes Forlin. Posto, solleva il legale, che la consegna (avvenuta a Feltre) di un bene frutto di delitto è ricettazione, il riciclaggio è avvenuto in Svizzera. Inoltre il presupposto del riciclaggio è l’arricchimento, ma l’illecito tributario commesso da Forlin tendeva a evitare l’impoverimento e nessun elemento indica che Melaiu sapesse che quel denaro fosse di provenienza delittuosa.

Tolto di scena il riciclaggio, il reato più grave commesso in Italia sarebbe l’associazione per delinquere. Per quanto riguarda i soldi investiti a Londra con il coinvolgimento di Bortolotto «non c’è prova che fossero quelli raccolti in Italia», inoltre per parlare di associazione per delinquere serve una condivisione di scopi, che non sussiste perché Bortolotto disse che non sapeva che i soldi non venivano investiti.

«Addis Melaiu i soldi li teneva tutti per sè», ammette l’avvocato che rapidamente passa a smontare i reati sull’attività abusiva (senza titolo di intermediatore), uno prescritto l’altro «da assolvere perché era tutta una messa in scena. I soldi non venivano raccolti per essere investiti ma per finire nei conti segreti di Melaiu».

«L’unico reato per il quale Melaiu va condannato e possibilmente con il minimo della pena», conclude il suo avvocato, «è la truffa, cioè il raggiro messo in opera dal solo Melaiu per farsi dare il denaro», circa 53 milioni di centinaia di risparmiatori.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:gd consulting

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi