Messner: «A Cibiana un museo come campo base»

Il “re” degli ottomila diventa pastore e accompagna la transumanza di una ventina di yak sul monte Rite

CIBIANA. La prima transumanza di yak. E chi poteva avere come “pastore” se non l’alpinista esploratore Reinhold Messner? Eccolo, dunque, il re degli ottomila, l’uomo dell’Himalaya, terra privilegiata di questo animale, portare all’alpeggio la mandria che 10 anni fa ha avuto il coraggio di insediare sulle Dolomiti. Era una prima volta allora, è stata una prima volta anche ieri.

Una ventina di animali sono stati condotti lungo la mulattiera che dalla ex caserma, pochi chilometri prima della vetta del monte Rite, sale in cima, al museo fra le nuvole e al rifugio Dolomites. Almeno un centinaio gli escursionisti e i visitatori arrivati fin qui per assistere ad un evento storico.

Venti yak non sono tanti, ma Patrizio Agnoli, che si cura di loro, ne ha ben 60 ed è un problema farli arrivare da Valle di Cadore, dove svernano, fino alle nevi (ce ne sono ancora) dei 2.180 metri del Rite. Quindi li accompagnerà a gruppi. Era commosso, Messner. Lo erano di più Patrizio, sua moglie, i due figli, il pastore che per suo conto fa da sentinella alla mandria, e la famiglia di quest’ultimo.

«Li conosco uno ad uno e li chiamo per nome» confida Patrizio a Messner. Inutile chiedergli quanto producono. Si sa che Messner ha progettato questo allevamento come un’impresa. Uno yak, quando è la sua ora, deve dire addio alla vita ed offrirsi – si fa per dire – alla macellazione. E alla degustazione nei migliori ristoranti. Ma Messner fa sapere, mentre Agnoli non ascolta, che «a Patrizio e ai suoi figli piange il cuore quando si tratta di scegliere il capo ‘espiatorio’, per cui il più delle volte non succede». ‘Mora’, Nina’, ‘Rosso’, ‘Biondo’: Patrizio li chiama veramente per nome, li accarezza, li accompagna in avanti, evita che facciano un passo falso. E lassù, dove c’è il recinto, vicino all’arrivo delle navette che portano i turisti sul Rite, sono i suoi figli a ripetere i gesti.

«Ecco perchè - dice Messner – quassù sul Rite non voglio mucche. La prima che vedo, io me ne vado». È un rito quasi religioso quello che il grande alpinista ha celebrato ieri, in silenzio lungo quasi tutta l’ascensione. Chissà chi ha pregato. E se ha pregato anche lui per la nazione, secondo la sollecitazione del vescovo.

«Sì, ha ragione il vostro vescovo, perchè la montagna ha davvero bisogno di un’inversione di rotta». Arrivato al suo museo, aperto sabato, e già con grandi numeri all’attivo nelle prime ore di frequentazione, Messner scruta il fondo valle. Cibiana la si percepisce, da quassù, come un piccolo borgo. Lui, lo scalatore himalayano, l’ha sognata, ancora 10 anni fa, come la Katmandù del Cadore.

«Purtroppo non è avvenuto, si fatica nella trasformazione delle culture, ma adesso speriamo che parta il ‘campo base’». Il ‘campo base’? Sì, è un’altra idea geniale di Messner. Aprire il secondo museo al Taulà dei boss, dove ci sono già suoi quadri ed altri cimeli della storia dell’alpinismo e delle esplorazioni. «Lo chiamo ‘campo base’ perché da lì dovremmo partire per ogni altra avventura a Cibiana e nel Cadore».

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