«Mi ricandido» Perenzin vuole restare in sella

«Esperienza positiva e gruppo compatto Vorrei terminare progettualità importanti»
Di Raffaele Scottini

FELTRE. «Mi ricandido a sindaco». Ricomincia la corsa di Paolo Perenzin, che cinque anni fa ha vinto con la lista Corriamo con Paolo e dopo la richiesta ufficiale della coalizione di centrosinistra rimasta compatta, ha deciso di riprovarci.

Innanzitutto, è contento?

«Sì, ma non vorrei che sembrasse un'auto-celebrazione di come siamo stati bravi. Se abbiamo governato bene o male lo diranno i cittadini. Per me è stata un'esperienza fruttuosa e soddisfacente, che aiuta a vedere la città con occhi diversa. Ciò di cui ho fatto tesoro in questi anni è non farsi prendere dall'ansia di dover per forza cambiare il mondo domani mattina, ma essere costanti, con la barra dritta verso la visione di città che vuoi avere».

Come sono stati questi cinque anni?

«La cosa bella è la coesione del gruppo, rimasto unito anche di fronte a scelte non facili, magari con variabili che non avevamo preventivato. Sono emerse anche posizioni diverse nelle riunioni allargate di maggioranza, come è legittimo che sia, ma poi abbiamo trovato la sintesi e in consiglio comunale nei momenti difficili tutti c'erano sempre. È stato un valore aggiunto, perché mi sono sentito supportato».

Parafrasando un celebre libro, non sono stati cinque anni di solitudine?

«No, anzi mi sono sentito inserito in un gruppo che ce l'ha messa tutta, anche se la responsabilità in ultima istanza sulle scelte è mia, per cui quella mezz'ora di solitudine da prendersi per decidere comunque c'è. Le difficoltà arrivano da mille parti, spesso ti senti su una barca in tempesta e la forza dell'equipaggio è l'unica salvezza, altrimenti il timoniere da solo non andrebbe da nessuna parte. È più importante il progetto dei singoli».

L'avventura da sindaco è stata come se l'aspettava, più semplice, più difficile o molto più difficile?

«Se la giocano tra più difficile e molto più difficile. L'esperienza decennale da consigliere comunale mi ha aiutato nella gestione dei rapporti politici, ma le difficoltà che da consigliere non avevo visto compiutamente sono quelle che hanno a che fare con le difficoltà nel reperire le risorse, nel far combaciare le tempistiche dei finanziamenti, nell'essere in grado di lavorare senza un quadro normativo di riferimento certo. L'emergenza è all'ordine del giorno. È stata un'esperienza nuova anche il rapporto con 130 dipendenti, che ringrazio».

Il problema più complicato che si è trovato a gestire?

«La molteplicità di variabili che ti trovi di fronte. Devi metterci energia e tanto tempo nel cercare di tessere relazioni con le persone, valutare se le scelte sono positive o negative, cercare di prefigurare vantaggi e svantaggi e alla fine raccordare, per cui quando arriva un risultato, è il frutto di un lavoro mastodontico».

Che cosa non rifarebbe?

«Credo che rifarei tutto. Alcune scelte avrei preferito riuscire a farle prima, per esempio sulla viabilità se fossimo arrivati al cambiamento nel 2015, avremmo visto il passaggio successivo nel 2016».

Cosa avrebbe preferito non trovarsi sul tavolo da gestire?

«L’Altanon».

La sorpresa negativa?

«L'ultima sul teatro, che è anche il rammarico, perché ci eravamo dati l'obiettivo del completamento».

Quella positiva?

«Ce n'è stata più di una, dico il fatto di aver trovato una grande volontà di ascolto da parte delle persone e una capacità di interloquire con la gente più semplice di quello che mi sarei immaginato».

Non è sempre colpa del sindaco?

«Anche se devi dire più no che sì, di fronte alle motivazioni le persone lo capiscono, basta essere schietti. La gente non sopporta che tu prenda tempo senza rispondere».

Quali pressioni subisce il sindaco?

«Meno di quelle che si raccontano. Si ricevono tante richieste, ma sono una cosa diversa dalle pressioni. L'importante è essere chiari dall'inizio, tenendo come bussola di riferimento l'idea di città del programma elettorale».

La partecipazione è stata un cavallo di battaglia e un altro è stata la mobilità, per la quale molti hanno criticato la scelta della via di mezzo. Si chiama prudenza, compromesso, timore o buon senso?

«Chi si aspettava la pedonalizzazione subito, l'ha vista come una scelta al ribasso e un compromesso, ma per me è stata la sintesi più alta possibile e mostra di funzionare, perché se vogliamo davvero cambiare le abitudini, radicando una mentalità diversa nel modo di spostarsi, non ci si riesce dall'oggi al domani. Ci siamo messi in un percorso dinamico e se rimarremo noi, il processo arriverà a compimento. Mi sarebbe piaciuto fare un concorso di idee sull'arredo urbano, ma non c'erano i tempi».

Ripensando a questi cinque anni, qual è l'immagine che le viene in mente?

«Quando con la giunta appena nominata abbiamo ricevuto Paterno sull'Altanon, che è entrato dando per scontato che avremmo approvato il progetto perché bastava la ratifica, invece dall'altra parte c'era chi aveva la testa dura».

In che misura è realizzato il programma amministrativo?

«Abbiamo raggiunto un buon 90 per cento delle cose che ci eravamo impegnati a fare. Manca il teatro e abbiamo accantonato il bilancio partecipativo, che potrebbe essere una delle cose interessanti nella prossima campagna».

Che rapporto c'è stato con la minoranza?

«Di correttezza istituzionale, in cui ciascuno ha fatto la sua parte. Non c'è stato un rapporto produttivo nell'elaborazione delle scelte, ma questo fa parte dei giochi».

In questi anni Feltre ha perso la Fondazione università e poi l'autonomia della sua Usl, con un'emorragia di servizi che creavano indotto economico. Che peso ha un'amministrazione locale in tutto questo e dove va la città?

«Il peso dell'amministrazione dipende dalle situazioni. Nei confronti della scelta sull'Usl non ha avuto nessuna possibilità di incidere. Sul tema università, la perdita vera è stato l'addio della Iulm, mentre per la Fondazione, la situazione si faceva pesante dal punto di vista economico, non si vedevano prospettive e chiuderla è stata una scelta dolorosa ma necessaria, preferendo investire le risorse in formazione. Per esempio siamo riusciti a triplicare i contributi alle scuole. Dalla soppressione della Diocesi nel 1986 alla soppressione dell'Usl nel 2016, in trent'anni sono venuti meno i servizi che davano a Feltre la dimensione di capoluogo di riferimento del territorio. Però oggi siamo qua e la scelta è tra guardare indietro con nostalgia o capire su quali basi possiamo ridare a Feltre una vitalità di tipo urbano. Messi in sicurezza i conti, abbiamo lavorato nell'ottica di Feltre 2030, cioè provando a ripartire da ciò che ha la città e nessuno le porterà mai via, cioè la bellezza del suo centro storico e di alcuni gioielli nelle frazioni, dentro l'ambiente e il paesaggio in cui ci troviamo. In questi anni ci siamo orientati nel settore del turismo sostenibile e di comunità».

Come si immagina dunque Feltre nel 2030?

«Con il centro urbano che non è solo XXXI Ottobre e largo Castaldi, ma dal monumento all'Altanon con tutto quello che sta in mezzo. La sfida è aprirsi, reinventandoci».

Cosa le ha fatto decidere di ricandidarsi?

«C'è una visione di città condivisa con tante persone in questi anni che vorremmo perseguire. Abbiamo parecchia carne al fuoco e mi piacerebbe riuscire a chiudere una serie di progettualità già avviate».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi