«Mia figlia nell’asilo vicino all’esplosione»

I racconti dei bellunesi che vivono a Bruxelles, tutti erano in centro mentre si scatenava l’inferno e hanno assistito a quanto è successo
Di Alessia Forzin
Passengers leave the airport area after explosions at Brussels Airport in Zaventem, near Brussels, Belgium, 22 March 2016. Dozens of people have died or been injured in a double blast in the departure hall of Zaventem Airport in Brussels, Belgian media reported. ANSA/LAURENT DUBRULE
Passengers leave the airport area after explosions at Brussels Airport in Zaventem, near Brussels, Belgium, 22 March 2016. Dozens of people have died or been injured in a double blast in the departure hall of Zaventem Airport in Brussels, Belgian media reported. ANSA/LAURENT DUBRULE

BRUXELLES. Alessia Reolon aveva appena salutato la figlioletta, all’asilo nido che si trova vicino alla stazione della metropolitana al cui interno è esplosa una delle bombe che ieri hanno devastato la capitale belga. «Per la prima volta nella mia vita ho pianto di paura», racconta. Sandra Alverà, invece, vive a settecento metri dalla stazione colpita dall’attentato: «Dovevo andare a una riunione lì vicino, ma visto l’accaduto sono rimasta a casa». Il marito di Anna Dal Borgo era nel treno precedente a quello devastato dall’esplosione. Alessia, Sandra e Anna sono tutte bellunesi. Si sono trasferite in Belgio per motivi diversi, lì si sono costruite una famiglia e delle amicizie. Ieri si sono trovate a vivere il giorno più buio della storia recente del Belgio.

«Ero vicina alla stazione della metropolitana in cui c’è stata l’esplosione, avevo appena portato mia figlia al nido», racconta Alessia Reolon, che fino al 2009 viveva a Trichiana. «Sapevo già dell’attentato all’aeroporto quando sono uscita di casa. Poi è esplosa la bomba nella metropolitana. E per la prima volta in vita mia ho pianto per la paura».

Alessia Reolon è direttrice in un asilo nido e ci è dovuta arrivare a piedi, perché i mezzi pubblici erano stati fermati. «Avevo pensato di tornare a casa, ma nella struttura in cui lavoro c’erano le maestre e i bambini. Ho chiamato il mio compagno (Gaspare L’Episcopia, anche lui trichianese di origine) che è andato immediatamente a prendere nostra figlia al nido per portarla a casa. Loro sono al sicuro».

La Reolon risponde mentre è ancora al lavoro. Ci sono diversi bambini nel nido, i genitori non riescono a raggiungerlo perché sono bloccati nei vari uffici della città: «È arrivato l’ordine dal ministero di rimanere chiusi dentro», continua.

Anche Nathalie Marchioro Holzer ha origini bellunesi. La nonna era di Santa Giustina, lei è nata in Francia e poi si è trasferita in Belgio. Lavora al Parlamento europeo e ieri mattina l’indicazione era di non uscire dall’ufficio. Un suo collega si trovava nel convoglio della metropolitana colpito dall’attentato: «Lui stava uscendo dalla stazione, ha sentito un gran rumore e un’intensa sensazione di calore. Poi ha visto persone ferite, e tanto sangue. Se fosse stato più vicino, forse sarebbe morto».

Il marito di Anna Dal Borgo, invece, si trovava nel treno precedente a quello esploso. «Mi ha chiamata subito per dirmi che stava bene e che non era rimasto coinvolto», racconta la donna, originaria di Chies d’Alpago. Lavora nella selezione del personale e vive in Belgio da vent’anni. «Mio marito andrà a prendere i bambini a scuola a piedi, io lavoro lontana dal centro». È stato lui ad avvertirla degli attentati. «È sconvolgente, specie il fatto che sia stata colpita la metropolitana. La prendono tutti... l’anno prossimo dovrà usarla anche mia figlia per andare a scuola».

Ha rischiato di trovarsi nel mezzo dell’inferno Sandra Alverà, origini ampezzane ma da dodici anni a Bruxelles. «Alle 10.30 dovevo andare a una riunione a cento metri dalla stazione degli atti terroristici», racconta via chat. I telefoni funzionano poco e male, «e ci hanno detto di tenerli liberi, per i soccorsi», ricorda. «Io vivo a 700 metri dalla stazione. Vedo girare molti elicotteri e sento sirene di continuo. Ci è stato consigliato di rimanere in casa e gli ospedali stanno cercando donatori di sangue».

C’è preoccupazione, nelle parole dei bellunesi: «Si respira un’aria pesante», conclude Alessia Reolon. «La città è blindata». E il pensiero di tutti va alle vittime e alle persone ferite. Tantissime, anche stavolta.

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