Miele, un affare di famiglia per i De Podestà di Laggio

Il capostipite Luigi ha scoperto l’apicoltura quando era già quarantenne I figli Silvia e Giuseppe portano avanti le linee Apicadore e Dolomiele

Francesca Valente

VIGO DI CADORE

Per i De Podestà fare il miele è un affare di famiglia: di aziende ne hanno ben due, Apicadore e Dolomiele, condotte rispettivamente da Silvia e Giuseppe. Anche se la paternità la detiene – in tutti i sensi – Luigi, 71 anni di Laggio di Cadore, il quale nonostante l’attività artigianale condotta per 40 anni è sempre stato appassionato di apicoltura. Per questo ha deciso di diventare il primo “pastore di api”.

Dietro a questo battesimo c’è un aneddoto curioso.

«Per 14 anni ho lavorato alla preparazione dei percorsi del Camel Trophy, una delle competizioni per fuoristrada più dure al mondo. Un anno mi sono trovato a Istanbul, in Turchia, sotto le festività natalizie, in condizioni atmosferiche quasi peggiori di quelle delle nostre montagne. Ma nel nostro gruppo c’era una persona che fra tutti non aveva mai preso il raffreddore. Quando gli abbiamo chiesto come facesse, ci ha risposto che ogni mattina mangiava un po’di miele, arrivando a consumarne anche un chilo al mese. Fino a quel momento non me n’ero mai interessato, poi ho iniziato a informarmi e mi sono appassionato moltissimo, decidendo di mettere su un allevamento di api con tre amici, quando avevamo circa 40 anni. La passione è cresciuta tanto che sono diventato anche tecnico apistico regionale».

Come ha fatto a trasmettere la passione in famiglia?

«Viste da fuori le api sembrano autonome, indipendenti, ma quando inizi a occupartene capisci che invece c’è un vero e proprio lavoro dietro. È partito tutto con la costruzione dei telai, la cera, la smielatura e poi il confezionamento. Quando si fa questo mestiere in famiglia si condivide e si collabora naturalmente. Oggi io e mia moglie continuiamo a dare una mano ai nostri figli nella gestione delle 300 arnie. Giuseppe è diplomato cuoco ed è diventato tecnico apistico come me, oltre ad aver fatto vari corsi di degustazione. D’inverno quando non ci occupiamo degli alveari va a lavorare in qualche ristorante e nella sua carriera ha cucinato anche con Gualtiero Marchesi. Silvia invece ha studiato economia ma ha sempre lavorato in ambito alberghiero e per l’azienda segue soprattutto il confezionamento e la commercializzazione dei prodotti».

C’è un progetto fra tutti che segnerà la vostra evoluzione.

«Il miele è soltanto la minima parte di quello che le api ci possono fornire. Sono stato il primo a portare a Longarone un convegno di apiterapia, una pratica all’epoca molto in voga in Slovenia ma della quale ancora non si parlava molto. Il nostro obiettivo è aprire un centro dedicato dove poter impiegare la pappa reale, la propoli e il polline a fini benefici, per il corpo e per la mente. Ci piacerebbe costruire una stanza nella quale poter inspirare l’odore che le api sprigionano durante la raccolta del polline, per non parlare delle loro punture, che talvolta vengono prescritte per fronteggiare le conseguenze di malattie anche molto gravi, come la Sla».

Come apicoltori praticate il seminomadismo?

«Esatto, lo facciamo solo parzialmente sia per inseguire le fioriture, sia per portare le api in condizioni meteo più favorevoli. Alcuni alveari restano stanziali, per esempio quelli del millefiori che è una tipologia primaverile con la presenza del tarassaco oppure estiva, altri invece li spostiamo con la fortuna di ottenere mieli anche particolari, come quello di acero. Abbiamo comprato diversi terreni anche più a valle per stare più tranquilli: e pensare quanti soldi guadagnano gli apicoltori in Trentino per portare le loro api in mezzo ai frutteti…».

Cosa pensa della proposta di rete di “DDolimiti – Custodi del territorio”?

«In certe regioni l’aggregazione è una cosa normale per non dire indispensabile, ma noi in montagna facciamo fatica da sempre. Io ho seguito per anni un’associazione ma vedo che c’è comunque la tendenza ad andare per proprio conto. Presi individualmente siamo tutti brava gente, però facciamo fatica a collaborare. Come famiglia abbiamo aderito alla guida perché la riteniamo un’iniziativa lodevole e il potenziale che i nostri prodotti avrebbero su un mercato più allargato sarebbe enorme. Dobbiamo però iniziare ad avere meno paura delle novità e saperci affidare a chi ci propone innovazione, senza temere truffe».

Avete avuto contraccolpi per l’emergenza coronavirus?

«Fortunatamente no, visto che finiamo l’anno senza scorte di magazzino. Produciamo una media di 45-50 quintali di prodotto e riusciamo a venderlo sempre entro Natale. L’anno scorso va detto che è stata un’annata disastrosa e anche quest’anno si prospetta dura, visto che quassù ci sono 12 gradi durante la notte quando alle api ne servirebbero almeno 16. Ma siamo ottimisti, anche perché peggio dell’anno scorso...». —

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