Mondiali, strade e treni: i no di Mercalli

L’esperto di clima e ambiente prevede la scomparsa del ghiacciaio in Marmolada tra pochi decenni: «Non ci sono cure»
Di Francesco Dal Mas

BELLUNO. Il ghiacciaio della Marmolada? Non ci sarà più entro il 2050. I passi dolomitici? Da chiudere subito, seppur a ore? Il proseguimento dell'A27? Improponibile. Ed era meglio rinunciare ai Mondiali 2021 di sci, come è accaduto per le Olimpiadi. Attenzione anche al treno delle Dolomiti: meglio di no se comporta gravi impatti ambientali.

A pensarla in questo modo è Luca Mercalli. Chi non lo conosce alzi la mano: è un meteorologo fra i più noti.

Ieri ha partecipato ad “Oltre le vette”.

Mercalli, già recita il de profundis per il ghiacciaio della Marmolada?

«L’agonia dei ghiacciai durerà ancora qualche decennio, ma il destino di tutti è oramai segnato perché perdono un metro di spessore all'anno. Quando c’è un’annata più calda della norma perdono anche due o tre metri. Se togliamo quei pochi ghiacciai importanti della zona interna della Svizzera, del Monte Bianco e del Monte Rosa, tutti gli altri, compresa la Marmolada, hanno soltanto qualche decina di metri di spessore. Per il 2050 tutti i piccoli ghiacciai sotto i 3.800 metri sono condannati alla scomparsa».

La Marmolada arriva ai 3 mila metri.

«Quindi via. La Marmolada è un ghiacciaio destinato a ridursi sempre di più. Rimarrà qualche placca nelle zone più in ombra. Ora dai ghiacciai iniziano ad uscire le rocce e ci sono delle zone in cui il ghiaccio è più frammentato e il paesaggio cambia».

Quale terapia adottare?

«La cura oramai non c'è, perché siamo stati troppo tardivi nel prendere consapevolezza e trovare soluzioni. La cura doveva essere fatta 50 anni fa e ovviamente non si è neanche accettato l'avvertimento. Ora possiamo solo ridurre l'entità del danno».

La riduzione del danno come avviene per gli stupefacenti?

«Qualcosa del genere... È atteso da qui al 2100 uno scenario di riscaldamento globale che può essere modulato tra 5 gradi se non si fa niente e 2 gradi se invece si fa qualcosa. Però i 2 gradi non ce li leva nessuno, sono purtroppo un malanno in corso. L’accordo di Parigi di cui si è sentito parlare è proprio il tentativo di creare un progetto condiviso a livello nazionale per rimanere nella soglia dei due gradi, però i nostri ghiacciai sono comunque spacciati».

Il nostro governo è entusiasta dell'accordo di Parigi e proprio ieri Papa Francesco si è raccomandato che venga rispettato.

«Quell’accordo io lo condivido un po’ meno del ministro Galletti. Sono convinto che abbia inteso la drammaticità dei problemi però lo vedo un po’ troppo ottimista sulle soluzioni. Non dimentichiamo che per ora l'accordo di Parigi resta un pezzo di carta. Perché abbia un vero impatto positivo ognuno di noi dovrà fare delle azioni per ridurre l'uso dell'energia fossile, passare alla rinnovabile, ai trasporti ecosostenibili. Dobbiamo trasformare le parole in fatti».

Dalle parole ai fatti, dunque. Bisogna chiudere i passi dolomitici, ad esempio?

«Azioni come queste hanno sostanzialmente un valore simbolico. Il fatto è che non possiamo permetterci di avere un mondo che spreca così tante risorse e produce così tanti rifiuti. Bisogna fare maggiore efficienza e passare alle energie rinnovabili il prima possibile. Si parte da queste chiusure per dare un messaggio universale».

Lo stato di salute delle Dolomiti sembra buono. Condivide?

«Le Dolomiti stanno molto meglio rispetto ad altre zone perché sono un'area di qualità sia naturalistica che di turismo. La grande sfida è il darsi un limite, mentre purtroppo l’economia attuale ci spinge sempre di più a consumare. Noi dobbiamo renderci conto che tanto le Dolomiti quanto nell'intero pianeta, proprio perché limitato, non sono disponibili per l'espansione continua dei nostri appetiti. Non si può pensare di vedere ogni anno il numero di turisti aumentare, di piste di sci crescere. Non può funzionare. Quando si lavora in territori fragili i danni possono essere superiori ai vantaggi».

Lei, quindi, i Mondiali di sci a Cortina non li avrebbe fatti.

«Io vengo dalla valle di Susa dove ho visto cosa è rimasto dopo le Olimpiadi del 2006. Siamo tutti d’accordo che a Torino hanno dato il bianco alle facciate ed è divenuta una città gradevole per delle cose che però potevano essere fatte anche senza le Olimpiadi. Tutta l’infrastruttura olimpica oggi è abbandonata. È stato un costo enorme ed oggi è un ammasso di macerie inutilizzate. Dobbiamo uscire da questa logica. Si può benissimo fare sport, turismo e cultura in montagna, ma dobbiamo usare degli altri criteri».

Almeno sarà d’accordo sul treno delle Dolomiti.

«Dipende da quanto imponente è la parte di cantiere. Se si tratta di cucire dei pezzi di linea esistente, ben venga».

No, invece, al prolungamento dell'autostrada A27?

«Tutto cade nel momento in cui riprendiamo il discorso dei limiti. È quello il postulato iniziale. Bisogna avere il coraggio di mantenere la qualità, avere un numero chiuso e non perseguire modelli dove si incoraggia l’ulteriore aumento di frequentazione, perché a quel punto non ci stanno più. Quindi no all’A27».

Introdurrebbe il numero chiuso su taluni percorsi di montagna troppo frequentati? «Per le automobili senz'altro sì. E ritengo che in certi paradisi bisognerebbe pagare il pedaggio anche se si va a piedi. A patto, ben s’intende, che quelle risorse siano reimpiegati nel territorio».

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