Natalina, “mamma” di 7 mila bellunesi

L’ostetrica Pinazza compie domani 101 anni. Ha avuto la condotta a Ponte nelle Alpi ed ha lavorato in ospedale
AURONZO. La “mamma” di oltre 7 mila bellunesi (pontalpini in particolare) compie 101 anni.


Natalina Pinazza, per 40 anni ostetrica e levatrice del Comune di Ponte nelle Alpi, festeggia domani ad Auronzo, nella casa della nipote Irene Vielmo e del marito di lei Marco Z. Bonel, questo bel traguardo, in perfetta forma e con il suo ineguagliabile carattere di combattente. È nata infatti il 22 dicembre 1916 a Domegge di Cadore, da una famiglia contadina.


«Mia madre Caterina De Bernardo – racconta – decise di mandarmi a studiare, assecondando il mio desiderio, con i soldi ricavati dal taglio di un bosco. Io avevo deciso di fare l’ostetrica, dopo aver studiato tre anni in uno alle medie di Domegge. Erano altri tempi: in famiglia eravamo quattro femmine e un maschio, si stava a casa, si seguivano le bestie. Poi a 22 anni ho ripreso a studiare e a 27, nel 1943, mi sono diplomata, ho ancora il diploma conseguito a Padova a pieni voti e firmato dall’allora re Vittorio Emanuele III».


Sposata? «No, e perché mai? Ho sempre preferito lavorare, contenta e libera. La casa l’avevo, i soldi pure, non mi sposo certo per cercare rogne. Di proposte ne sono arrivate molte, ma ho sempre detto no».


Dopo l’università ha lavorato all’ospedale di Belluno, in centro città, dal 1943 al 1949 e ricorda il professor Broglio, il dottor Fedon di Vallesella, il professor Ponzian, ostetrico e ginecologo. «Si lavorava 24 ore su 24, un giorno ho seguito anche quattro parti. Ricordo suor Amabile, una bella suora di Trento, che quando ero in sala operatoria mi portava l’uovo con il marsala per tenermi su. Voleva darmi il suo fratello come marito, ma io quelli presi con lo schioppo non li volevo di certo», sorride, facendo riferimento al fatto che i trentini furono conquistati con la guerra, con lo schioppo appunto.


Per essere autonoma e non dover chiedere passaggi in auto ai futuri padri («Che quando avevano bevuto talvolta allungavano le mani») se chiamata a tarda ora nelle case delle partorienti, si dotò dapprima di una bicicletta e poi di una Vespa con la quale la si vedeva scorrazzare per tutto il paese di Ponte nelle Alpi e nelle varie frazioni per assistere le partorienti.


Nel 1949 aveva infatti vinto la condotta a Ponte, che allora contava 7.000 abitanti. «C’era tanta miseria, non c’erano soldi. Io vivevo in una stanza affittata vicino all’osteria ed ero sempre pronta a mettermi in cammino quando mi chiamavano perché si era vicini al parto. Mi offrivano un bicchiere di vino, anche se avevo più fame che sete e sarebbe stato meglio pane e formaggio. Appena arrivata guardavo il bacino della partoriente e mi bastava una palpazione per capire se il battito era regolare, se il bambino era incanalato giusto. Eh sì, sono stata molto fortunata, perché i miei bambini sono sempre nati vivi, ed io ero abituata a chiamare il dottore solo se c’era assoluta necessità».


Ma non si limitava, Natalina, a lavorare solo a Ponte nelle Alpi; la sua fama si era estesa tanto che molti privati la reclamavano, da Belluno a Longarone, al lago di Santa Croce.


«Così sono passati 38 anni di lavoro ed a 65 anni sono andata in pensione e ho fatto la signora, ho riposato anche se mi cercavano ancora. E qualcuno mi chiedeva di praticare aborti, ma io ho sempre detto di no, per una questione morale ed anche perché non mi sono mai innamorata degli schei».


Natalina ha anche rinunciato a trasferirsi a Roma. «Sì, la proposta mi era arrivata da una clinica privata importante, ma io non volevo allontanarmi troppo dai miei genitori, Luigi Pinazza e Caterina De Bernardo, gran lavoratori, persone oneste, gente semplice che mi ha insegnato molto della vita».


Fumatrice assidua per resistere alle notti in bianco, ha poi smesso a sessant’anni. Oggi vive ad Auronzo, circondata da tanti familiari. «Non penso neanche di morire», confessa con un mezzo sorriso, mentre guarda l’album delle fotografie, ricorda nomi, date e visi e si dice innamorata dei suoi bambini, alcuni dei quali oggi sono ottantenni. «Ho sempre sentito tanta responsabilità, ho lavorato giorno e notte girando con la mia borsa delle medicine, facendo scaldare l’acqua, pesando i neonati, guardandoli mentre aprivano gli occhi per la prima volta. Sono stata felice così».


Stefano Vietina


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