Negozi senza clienti: «Possiamo restare aperti ma non si vende. La gente ha paura»
BELLUNO
Aperti per decreto, ma di fatto è come essere in lockdown per i negozi di abbigliamento. Non ci sono clienti nelle attività. È grave la situazione del commercio, che dopo la chiusura forzata della scorsa primavera si trova a vivere una situazione simile in autunno. Con la differenza, di forma ma non di sostanza, che a marzo i negozi vennero chiusi, e lo Stato ristorò i titolari delle attività, mentre adesso possono lavorare e quindi non sono previste forme di indennità per i mancati incassi.
«La gente è impaurita, e se il decreto del presidente del consiglio raccomanda di non uscire di casa se non per comprovate ragioni, chi vuole che entri nei nostri negozi?», sbotta Antonio Barp, titolare di Young Moda, in centro a Feltre, e vicepresidente provinciale dei tessili di Confcommercio. «Non si muove più nessuno, già la scorsa settimana c’era stato un calo di presenze in città. Da quando è entrato in vigore il Dpcm non si muove un’anima. Non siamo in lockdown, ma di fatto è come se lo fossimo». La chiusura anticipata di bar e ristoranti, poi, svuota le città.
Barp è molto preoccupato: «Qua rischiamo di dover lasciare a casa i dipendenti», afferma. E si appella all’associazione di categoria, che non starebbe facendo nulla per supportare gli associati: «Cosa sta facendo Confcommercio Belluno? Non ha nemmeno preso posizione ufficialmente. Il presidente dovrebbe convocarci tutti sotto la Prefettura, e venire anche lui a protestare con noi».
Parole che danno il senso della disperazione che si vive in un settore, quello dell’abbigliamento, già fortemente provato dal lockdown della scorsa primavera. «Il primo semestre è stato disastroso, si parla di una perdita di fatturato rispetto all’anno scorso fra il 30 e il 50%», spiega Angela De Min, titolare di Moda soft in centro a Belluno e delegata comunale di Confcommercio.
«Mi fa ridere leggere che i negozi possono rimanere aperti ad orario illimitato. Se la gente non si muove, cosa stiamo aperti a fare? E ovviamente non sono previsti ristori, perché non siamo stati chiusi per decreto stavolta. È giusto che i fondi vengano riservati a chi non può lavorare, ma anche noi siamo in grossa difficoltà».
E sale la rabbia, perché intanto le spese ci sono: mutui, affitti, bollette, tasse, fornitori. I portafogli si svuotano e non si riempiono, la merce rimane sugli scaffali, invenduta. «Il problema vero è che gli ordini per la stagione autunno-inverno sono stati fatti a febbraio, e adesso vanno pagati i fornitori», spiega Vittorio Zampieri di Federmoda. «La situazione è drammatica, si rischia di creare problemi anche ad altre partite Iva, perché siamo tutti legati in un’unica filiera. Sarà un bagno di sangue».
Zampieri non pensa che le proteste di piazza possano portare a qualche risultato («dobbiamo muoverci secondo i canali istituzionali e come federazione stiamo raccogliendo tutte le criticità per esporle al presidente Conte», dice), Angela De Min invece lo sta valutando, ma prima vuole confrontarsi con i colleghi e con l’associazione di categoria. «Sentirò alcuni colleghi per capire come muoverci, la situazione è gravissima per tutti», conclude la titolare di Moda Soft. «Siamo preoccupati ma anche molto arrabbiati. Siamo stati trattati a pesci in faccia e rischiamo di non risollevarci più».
Il timore è che molte attività, strangolate da spese che non riusciranno a sostenere, decidano di chiudere. «Non so proprio quanti sopravvivranno a quest’altra botta», conclude la De Min. —
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