Nella pinacoteca c’è anche un Tintoretto
All’ultimo piano l’oreficeria con croci, sculture e complementi eucaristici
Il calice del diacono Orso
FELTRE. Quando Feltre era sede del vescovado, la cittadella era meta d’artisti affermati. Le testimonianze del loro passaggio sono ancora evidenti oggi, in diversi palazzi nobiliari e del potere. Non altrettanto conosciute erano invece le testimonianze storico-artistiche proprio della sede vescovile, tornata in questi giorni ai fasti di un tempo dopo un lungo e difficile restauro. Il risultato per chi già conosceva l’edificio prima dei lavori è di quelli che stupiscono per la bellezza del sito, ma anche per la quantità di informazioni della sua complessa storia che sono emersi nel corso dei lavori. Sono ad esempio venuti alla luce dopo secoli d’oblio dei notevoli lacerti affrescati di stampo mantegnesco, ritrovati al piano terra, ma anche decorazioni settecentesche molto eleganti.
I primi, emersi sotto uno spesso strato d’intonaco, hanno un’importanza storica enorme e seppur frammentari sono tra i pochi esempi della pittura d’inizio cinquecento a Feltre, precedenti quindi al grande incendio che la ridusse in cenere nel corso della guerra cambrica (1508 - 1512). Di qualità e di grande effetto è il salone del primo piano, detto Gradenigo, dal nome del vescovo che lo realizzò nei primi del seicento, con il solaio di legno completamente dipinto e le pareti affrescate con le tre virtù teologali e le quattro virtù cardinali inserite in nicchie. Questo salone ospita la pinacoteca. Una selezione di tele e tavole provenienti dal territorio e realizzate in varie parti d’Italia. Grande la qualità di tutte le opere, a partire dallo stupendo ritratto di San Gerolamo del napoletano Luca Giordano, un flash di luce e materia che colpisce per i forti contrasti chiaroscurali e per la carica mistica di Gerolamo.
Capolavori sono sicuramente le due grandi opere di Sebastiano Ricci, realizzate entrambe entro la seconda decade del settecento e provenienti dal monastero di Vedana. “Il battesimo di Cristo” e “La Madonna appare ai santi Bruno e Ugo” possono essere considerati come la summa della ricerca artistica di Ricci, la pennellata è morbida e grassa e la materia si diffonde dolce e dilatata immergendo le figure in un contesto di grande leggerezza, ma anche di forte intensità mistica che raggiunge il suo punto più alto nel bagliore ultraterreno degli occhi del Cristo. E poi c’è un Tintoretto che si trovava nella chiesa di Ognissanti.
Sculture e rari oggetti d’uso eucaristico completano l’offerta espositiva di questa sezione ed occupano lo spazio una volta adibito a cappella. Qui trovano posto, tra i numerosi oggetti, la croce post-bizantina scolpita nel bosso e proveniente dalla cattedrale di Feltre ed il reliquiario di san Silvestro realizzato in argento dorato e cesellato, capolavoro dell’orafo toscano Antonio di Salvi che lo realizzò nel 1497 per la certosa di Firenze. Tra le sculture in legno, quella che certo di più colpisce è l’Assunta, scolpita dal Brustolon, definito da Honorè de Balzac “il Michelangelo della scultura in legno”, nel 1702 per il vescovo di Feltre Antonio Polcenigo. Un’opera dotata di vita propria, realizzata con una tecnica che fa del dinamismo la sua espressione più alta.
La Madonna è colta nell’attimo in cui la terra diventa cielo, sospinta e sorretta da putti gioiosi che volando immersi nelle nuvole amplificano l’effetto ascendente dell’opera in cui ogni elemento ed in particolare i panneggi hanno un notevole movimento plastico. Una sala è inoltre dedicata all’oreficeria sacra e testimonia come nel corso dei secoli la chiesa unì arte e fede nello svolgimento delle funzioni liturgiche. Allo spettatore è così data l’occasione di conoscere l’evoluzione e la trasformazione di questi “arredi” lungo i secoli.
(m.b.)
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi
Video