Nicolai Lilin a Padova: «Porto qui le mie storie sulla pelle»

Lo scrittore di «Educazione siberiana» ad ArtePadova espone i suoi lavori che poi diventano tatuaggi
MALFITANO - NICOLAI LILIN
MALFITANO - NICOLAI LILIN

PADOVA. È venuto a vivere in Italia (in Piemonte) per la mamma: «Una mamma russa sa essere molto persuasiva, non necessariamente con metodi ortodossi», racconta sorridendo Nicolai Lilin, scrittore ed artista russo in fiera ad «ArtePadova» fino a domenica, quando, alle 17, al padiglione 3, presenterà il suo nuovo libro «Storie sulla pelle».

«Mia madre mi ha fatto tornare dall’Irlanda ad un mese dalle nozze: ho temuto di perderla ma ho trovato una donna sanissima ad attendermi, solo non voleva mi trasferissi in Irlanda». Quelle nozze non andarono a buon fine, Nicolai si è stabilito in provincia di Cuneo, è diventato uno scrittore di best seller e a Milano, nel tempio «Kolima», un tatuatore “religioso” con vocazione psicoanalitica. Una sorpresa dietro l’altra per un artista che a 8 anni si è fatto, da solo, il primo tatuaggio sulla gamba e che «da grande» desiderava diventare un criminale.

Nato a Transnistria nel 1980, arruolato soldato nell’esercito a 18 anni, ha vissuto 2 anni da soldato e poi da consulente antiterrorismo per un’agenzia di sicurezza israeliana. Sul fronte della vita privata è già sposato e separato, in procinto di nuove nozze con la compagna padovana e padre di una bambina di 5 anni. Quel soprannome dei vecchi siberiani, «bambino vecchio» perché da piccolo ardeva diventare adulto, sembra averlo accompagnato per tutta la vita. Una vita affascinante con antenati altrettanto singolari, come il nonno che rimasto vedono a 27 anni scelse di vivere castamente ed eremita nel bosco siberiano per «non tentare nel peccato le fanciulle del villaggio», rivela Nicolai.

L’immaginazione vola, si vede già un pirata-bandito dal corpo quasi interamente tatuato; invece Nicolai di pirata ha solo il corpo impresso dai colori, ma quando parla emana una dolcezza disarmante che acquista intensità quando spiega la sacralità del tatuaggio per la sua gente: «Chi tatua è una sorta di sacerdote e psicanalista che accoglie le confidenze di chi ha di fronte trasformandole in una seconda pelle – racconta - quella che scegliamo per imprimere sulla tavolozza del nostro corpo esperienze, educazione, sentimenti ed esistenza».

E’ il simbolo che conta non la dimensione estetica. Al padiglione 1 (stand 77) di ArtePadova (fino a lunedì in fiera) Nicolai espone i disegni dei tatuaggi disegnati sui corpi dei protagonisti del film di Salvatores tratto dal suo primo lavoro, «Educazione Siberiana». «Sono una parte dei 250 disegni che ho realizzato per il film», rivela, «il tatuaggio è un punto che risolve e dà significato ad una frase della nostra esistenza». La sofferenza (perché farsi un tatuaggio fa male anche se in una dimensione religiosa) è parte integrante di questa conoscenza di noi stessi. «Attraverso la sofferenza si vede più chiaro il proprio destino e il proprio passato». Significa non tirarsi indietro di fronte alle prove della vita. Significa scegliere d’essere costruttivi e non distruttivi.

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