«Non conosco la mamma di Ismail Davud»

Chimangui conferma le parole di Lidia Solano: «Non saprei proprio come riportarlo a casa dalla Siria»
Di Gigi Sosso

FELTRE. Su una cosa sono d’accordo: non si conoscono. Ma se anche si fossero visti da qualche parte, la mamma Lidia Solano Herrera e il portavoce dell’associazione islamica “Un passo verso la speranza” di Feltre, Mohsen Chemingui, non sarebbero in grado di riportare a casa dalla Siria il piccolo Ismar Davud. Il bimbo che la donna ha avuto da Ismar Mesinovic, l’imbianchino bosniaco di Longarone che si è arruolato nell’Isis nel dicembre di due anni fa ed è morto un mese dopo in combattimento ad Aleppo, ha compiuto quattro anni lontano da chi gli vuole bene e nessuno sa con certezza dove sia. Il padre l’aveva portato con sé in Medio Oriente e con il macedone di Chies, Munifer Karamaleski, con la scusa di andare dai nonni a Doboj, ma per la Repubblica serba di Bosnia possono esserci solo passati.

Solano Herrera ha detto chiaramente: «Non ho mai visto Chemingui e, dunque, non ci ho mai parlato. Non so davvero se sappia qualcosa di Ismail Davud. La verità è che nessuno mi ha più detto niente di sicuro».

Tirato in ballo, perché conoscerebbe l’emiro di Raqqa (la capitale autoproclamata del califfato) il tunisino trapiantato a Feltre conferma: «Non conosco questa donna e non saprei come aiutarla. Non posso che darle ragione, quando dice che non ci siamo mai né visti né sentiti. Ho letto da qualche parte che le avrei offerto il sistema per andare in Siria, ma non capisco davvero come, tanto più che io sono tunisino».

Le indagini della procura distrettuale di Venezia e del Ros dei carabinieri possono anche essersi occupate di tutti i musulmani residenti in provincia di Belluno, che frequentano la moschea Assalam di Ponte nelle Alpi e l’associazione feltrina, ma Chemingui garantisce: «Non so nulla della vicenda personale di questa donna, se non per aver letto qualcosa sui giornali. Né sono in grado di dire qualcosa, a proposito di suo marito. Chi pensa che io c’entri qualcosa con questa storia sarà portato in tribunale. Ho già incaricato il mio legale, in quanto un quotidiano ha scritto delle cose, che non esistono. Non sono vere, in quanto non ho niente a che fare con questa inchiesta e non ho mai visto nemmeno la milanese Maria Giulia Sergio, che da qualche mese è in Siria».

Mohsen Chemingui è in Italia da alcuni anni: «Cinque, per essere precisi e ho un lavoro, che mi fa viaggiare».

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