«Non è tempo di commedie Venezia racconta la realtà»

di Michele Gottardi Una Mostra che alcuni hanno definito spiazzante e coraggiosa per l’assenza di nomi noti nel programma. Ma che rivela un’idea di cinema netta e conferma un’identità definita di...
Di Michele Gottardi
26 Aug 2014, Venice, Italy --- Italian actress Luisa Ranieri and compatriot festival director Alberto Barbera pose for photographers at the Lido Beach ahead of the annual 71th Venice Film Festival, in Venice, Italy, 26 August 2014. Ranieri will host the opening ceremony of the festival. The event runs from 27 August to 06 September. ANSA/ETTORE FERRARI --- Image by © ETTORE FERRARI/ANSA/Corbis
26 Aug 2014, Venice, Italy --- Italian actress Luisa Ranieri and compatriot festival director Alberto Barbera pose for photographers at the Lido Beach ahead of the annual 71th Venice Film Festival, in Venice, Italy, 26 August 2014. Ranieri will host the opening ceremony of the festival. The event runs from 27 August to 06 September. ANSA/ETTORE FERRARI --- Image by © ETTORE FERRARI/ANSA/Corbis

di Michele Gottardi

Una Mostra che alcuni hanno definito spiazzante e coraggiosa per l’assenza di nomi noti nel programma. Ma che rivela un’idea di cinema netta e conferma un’identità definita di Venezia e del suo programma. Il direttore Alberto Barbera, alla fine del secondo mandato e al settimo anno di direzione complessiva, delinea un cartellone attento alla realtà del contemporaneo. «Quest’anno non vedo un fil rouge comune alle sezioni e alle partecipazioni; certo è la realtà a farla da protagonista, nelle sue diverse forme. È la Storia, interprete principale, sia lì dove è più eclatante - come nel caso di “Francofonia” di Sokurov - che nelle molte vicende individuali. C’è meno capacità di inventare e una maggior capacità di rielaborare la realtà, per condividerla. Sono tutte storie forti, dai toni drammatici, che segnano un significativo arretramento della commedia, anche di quella più sofisticata».

Molti vicende sono al femminile, con donne protagoniste sia sullo schermo che dietro la macchina da presa.

«Certo, si passa da “Loocking for Grace”, ricerca di un’adolescente ma anche introspezione dei genitori, all’omaggio di Laurie Anderson all’ex compagno Lou Reed, dalla soprano “Marguerite” alle donne dell’“Attesa”, fino a “The Danish girl”, sul primo caso di cambio di sesso: insomma femminilità a tutto campo».

Da molti anni si assiste a un arretramento dei generi ma questa edizione marca un’ulteriore scomparsa della commedia.

«Vero, quelle che si vedono in giro, soprattutto in Italia sono commediacce, non hanno nulla di sofisticato e non reggono il confronto con quelle di un tempo».

Forse c’è più noir?

«No, c’è qualche richiamo classico - come il gangster-movie di “Black Mass” - ma nei film più cruenti prevalgono i toni del thriller psicologico».

Si è molto discusso se la formula dei festival fosse sul viale del tramonto, ora sembra invece che sia di nuovo in crescita: le major come la vedono?

«Rispetto a 15-20 anni fa i festival hanno ripreso quota. Un tempo nessuno ne poteva prescindere. Oggi non è più così, la crisi ha mutato molte cose e se le major sembrano aver abbandonato i festival, essi sono imprescindibili per piccoli e medi produttori».

In realtà a Venezia ci sono sia la Warner Bros che la Universal: effetto “Gravity”?

«Sicuramente “Gravity” ha inciso molto nel rivolgere al Lido una fetta di mercato. Ma in generale siamo riusciti a riportare la Mostra verso quel lavoro di ricerca e di scoperta che la contraddistingueva negli anni ’50 e ’60».

Allora il festival scopriva Kurosawa e Ichikawa, consacrava i grandi autori italiani ed europei.

«Oggi ha il compito di segnalare i 50 film imperdibili sui duemila che girano ogni anno».

In quest’azione di scouting rientrano anche i quattro film italiani in concorso?

«Rappresentano un’eccezione: sono la punta di un iceberg fatto in realtà di commedie, spesso volgari e poco esportabili. Qui abbiamo un grande autore come Bellocchio e tre giovani talentuosi, Messina addirittura è esordiente, Guadagnino sceglie il modello internazionale, Gaudino è esempio dell’autore italiano classico, cinema a basso costo ma molto originale».

Manca la Cina: un caso?

«No. L’esplosione economica si è rivolta alla quantità. Davanti a centinaia di sale, i produttori si sono rivolti a un cinema popolare, che non ha senso fuori dei confini».

Che differenze ha incontrato, dirigendo la Mostra a una dozzina d’anni di distanza?

«Sono cambiate molte cose anche fuori della Mostra, dal digitale al mercato. A Venezia ho trovato una situazione molto più accogliente, anche in città, e una migliore organizzazione nella Biennale. Ha giovato la riduzione dei film in cartellone e la razionalizzazione degli spazi; i biglietti sono aumentati e questo segna una crescita d’interesse anche nei giovani».

Ci sarà un Barbera-ter?

«Non posso, né voglio rispondere. Di certo un festival come questo e il Museo del cinema di Torino sono diventate due attività così importanti che non è più possibile farle gestire da un’unica persona».

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi