Non risultano indagati per il suicidio in carcere

La procura cerca di capire come mai l’uomo indossasse la cintura dei pantaloni Già archiviata l’inchiesta sui maltrattamenti in famiglia a causa della sua morte
Di Gigi Sosso
carcere baldenich
carcere baldenich

BELLUNO. Accertamenti preliminari. L’inchiesta della procura della Repubblica sul suicidio di G.C., nel carcere di Baldenich è ancora nella sua fase iniziale. Mentre è già stata archiviata quella per maltrattamenti in famiglia nei confronti della compagna convivente, proprio perché l’uomo si è tolto la vita, il che ha cancellato l’eventuale reato. Non ci sono ancora indagati, di conseguenza non c’è ancora un’ipotesi di reato, tuttavia la magistratura vuole e deve capire perché il 45enne residente in Valbelluna si sia ritrovato nella sua cella singola, riservata ai nuovi arrivati mai stati in prigione in precedenza, con la cintura dei pantaloni addosso.

Perché al momento l’unica certezza è che si sia impiccato con un oggetto che non poteva avere, nelle sue condizioni di detenuto. Che doveva essergli tolto, all’ufficio matricola, perché palesemente pericoloso. Come la collanina o le stringhe delle scarpe. L’uomo era a Baldenich da poche ore, dopo essere stato arrestato nel pomeriggio di sabato 7 ed è stato sorvegliato dagli agenti della polizia penitenziaria, che l’avrebbero visto anche mentre fumava una sigaretta. Nell’ultimo giro delle 23, è stato trovato senza vita e il medico di turno, che è accorso velocemente non ha potuto che constatarne il decesso.

Non c’era niente da capire sulle cause della la salma è stata messa subito a disposizione della famiglia per la tumulazione. Quanto all’avvocato Tonin, ha ricevuto la comunicazione il giorno dopo e da una terza persona, nemmeno dall’amministrazione carceraria. Sono partite le due inchieste: quella interna alla casa circondariale e quella della procura della Repubblica. Lo scopo è lo stesso: valutare se ci possano essere state o meno delle negligenze, nel protocollo da seguire, quando arriva un detenuto, che non si era mai visto prima.

Intanto, la donna era in un reparto del San Martino, dove era stata ricoverata martedì, dopo essere arrivata in pronto soccorso con il viso tumefatto dalle botte. Le aveva prese in casa e i medici le hanno medicato ferite guaribili in 40 giorni, trasferendola in corsia e affidandola a uno psicologo. Come anticipato, per il reato di maltrattamenti in famiglia non si procede per il semplice fatto che il presunto colpevole se n’è andato.

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi