Nonnismo al 7º Reggimento alpini, condannati i tre sottufficiali

Il tribunale di Belluno ha ritenuto colpevoli un sergente e due caporal maggiore. Risarcimento danni ma sospensione condizionale e non menzione nel casellario 

Nonnismo alla Salsa: tre alpini condannati. Otto mesi e 10 giorni al sergente Francesco Caredda, al caporal maggiore capo Salvatore Garritano e al caporal maggiore Fabio Siniscalco del 7º Reggimento, per il reato di violenza contro un inferiore, previsto dal Codice Penale militare in tempo di pace, che ha assorbito quello di lesioni. Assoluzione, invece, per la minaccia o l’ingiuria a un inferiore, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Pena sospesa e il giudice Angela Feletto ha disposto la non menzione.

Spese processuali e di costituzione di parte civile da pagare, oltre al risarcimento danni al caporal maggiore Salvatore Di Rubbo, che è stato stabilito in via equitativa in 2 mila euro. Il pubblico ministero Rossi aveva chiuso la requisitoria con la richiesta di condanna a un anno e nove mesi; il difensore di parte civile Mario Palmirani del foro di Santa Maria Capua a Vetere aveva aggiunto un anticipo sul risarcimento di 10 mila euro. Ultimo a parlare l’avvocato della difesa Antonio Vele, per il quale i tre sottufficiali andavano assolti, perché il fatto non sussiste o non è stato commesso, in subordine perché non costituisce reato e in ulteriore subordine il proscioglimento per particolare tenuità del fatto.

La sentenza è stata letta alle 18.15, alla fine di due ore e un quarto di camera di consiglio, dopo che dalle 11 in poi erano stati ascoltati altri otto testimoni (il nono aveva un legittimo impedimento ed è stato ritenuto superfluo) entrati nel processo, al termine dell’udienza di giugno, quando era già stata fatta la discussione.

Prima di altre dichiarazioni spontanee di due dei tre imputati, si è molto parlato di un addestramento a Tolmezzo (Udine) e «un piano di lezione nei centri abitati» del 4 maggio 2015, nel quale è entrata anche una fase di montaggio e smontaggio di una mitragliatrice Browning, che alcuni testimoni confermavano e altri no. Ieri qualcuno ha ammesso che Di Rubbo «era preso un po’ di mira: si prendevano gioco di lui e non stava bene» e qualcun altro ha garantito di non aver visto «nulla di anomalo, nulla di strano né in caserma né in addestramento».

Caredda, Garritano e Sinscalco erano accusati in concorso di violenza privata e lesioni. Il 5 maggio 2015, dopo aver portato via dalla camera di Di Rubbo il televisore di sua proprietà, Garritano ha bloccato l’uscita della palazzina, allargando le braccia. Siniscalco ha colpito il sottoposto con delle gomitate al volto e l’ha trattenuto fisicamente, in maniera che non si avvicinasse all’auto dello stesso Garritano, nella quale Caredda aveva caricato l’elettrodomestico. Ancora Caredda ha stretto alla testa Di Rubbo, cercando di farlo cadere a terra e trascinandolo lontano dalla macchina. In questo modo, gli hanno provocato delle ecchimosi al volto guaribili in tre giorni, che hanno cercato di spiegare con lo sfregamento contro il velcro della mimetica.

E poi c’erano i reati militari di violenza e minaccia o ingiuria. Nel corso di una esercitazione in Friuli hanno ripetutamente insultato il collega, oltre a lanciargli addosso sacchi e cestini di spazzatura. In un’attività d’indottrinamento, Caredda l’ha più volte colpito con un chiodo alla spalla sinistra, mentre Siniscalco e Garritano lo trattenevano, per impedirgli di reagire. Secondo il difensore Vele, «il vero imputato era Di Rubbo», che ha anche sbagliato una data. Dopo la sentenza, il collega Palmirani si è detto «contentissimo, perché giustizia è stata fatta». —
 

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