Operatore Ceis accusato di abusi sessuali

È iniziato il processo con la testimonianza della vittima, una giovane donna ospite di una struttura bellunese, molestata mentre stava prendendo il sole

BELLUNO. Abusata da piccola e con una dipendenza che l'aveva portata a vivere da tre anni in comunità. È questo il vissuto di una ragazza, ospite del Ceis in una delle strutture bellunesi, che ha denunciato l'abuso sessuale subito da un operatore. Nella prima udienza di ieri, davanti al tribunale collegiale formato dai giudici Antonella Coniglio, Elisabetta Scolozzi e Cristina Cittolin, la ragazza ha raccontato cosa è successo in quel pomeriggio di metà giugno del 2013, in un bel sabato di sole. La data è incerta perchè, come ha spiegato lei stessa, il tempo in comunità è relativo ma si sa che è sabato o domenica perchè non si lavora.

Se si esclude il problema delle date, in effetti parecchio confuse, la giovane (parte civile con l'avvocato Cristiana Riccitiello) è stata sempre coerente e precisa, nonostante la lunga testimonianza.

Lei stava prendendo il sole nel prato davanti agli uffici, distesa su un asciugamano, vestita in pantaloncini a mezza gamba neri e canottiera. Lui (avvocati Erminio e Valentina Mazzucco) è arrivato e le ha suggerito di alzare i pantaloncini per abbronzarsi meglio. Anzi, l'uomo avrebbe iniziato a farlo, continuando anche dopo che lei, impietrita, aveva detto "basta così", fino ad infilarle una mano dentro le mutande e toccarla per qualche secondo. "Lasciami fare" avrebbe detto lui, ma togliendo la mano. Incapace di reagire la ragazza si è anche sentita proporre "vuoi fare footing?" in un doppio senso che lei ha capito benissimo, rispondendo "no". A quel punto l'operatore si è allontanano per tornare poco dopo e ricominciare con i consigli per la tintarella, stavolta nella parte alta. L'imputato avrebbe consigliato alla giovane di togliersi la maglia, anche se restare in reggiseno è vietato in comunità (come gli ha ricordato lei) e le avrebbe slacciato la biancheria per poi toccarle il seno facendo apprezzamenti.

«Avrei dovuto prenderlo a schiaffi, ma sono rimasta agghiacciata», ha spiegato la ragazza che nelle ore successive ne ha parlato con una psicologa e in seguito con altri, compreso il responsabile della comunità che ha testimoniato dopo di lei. Già indebolita dal suo passato, la giovane ha spiegato anche di essere stata destabilizzata fino all'autolesionismo. L'operatore, che la pregò di non dire niente al responsabile per evitare guai, rimase nella comunità solo qualche mese. Anche lui uscito da un periodo di dipendenze, fu trovato in condizioni alterate e che sarebbero state negative per il gruppo, quindi allontanato a pochi giorni di distanza dal presunto abuso, ma prima che il responsabile ne fosse al corrente. Il processo è stato rinviato per sentire altri testimoni. (i.a.)

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi