Oro dall’acqua, un affare da cento megaWatt

La redditività media è del 9 per cento con bassi investimenti. In corsa Bim, En&En e altri privati. Obiettivo: occupare gli ultimi torrenti di montagna. 
BELLUNO. La nuova frontiera dell'energia ha un nome: piccole centraline idroelettriche. Ma nello stesso tempo è anche il nome di un'altra nuova frontiera, quella dell'ambiente. Le centraline spuntano come funghi ovunque, in nome dell'energia «pulita». Ma è davvero così? 


Saranno anche «piccole», e le chiameranno «centraline» per distinguerle dai grandi impianti dell'Enel, però sembra una terminologia «riduzionista». Anche se non emettono gas serra, l'impatto ambientale c'è e si vede. E non è pura questione di paesaggio. E' che ormai il 90 per cento delle possibilità di «sfruttamento» dell'acqua sono già esaurite, resta un 10 per cento: torrenti di montagna che hanno ancora qualche goccia, ma che verrebbero prosciugati se il «programma centraline» venisse realizzato.


Certo, ci sono impianti e impianti. Però tutti prevedono opere di presa, intubamenti e alla fine l'acqua viene restituita a centinaia di metri se non chilometri più a valle. Sui tratti interessati, però, il torrente finisce prosciugato e manomesso, in barba al minimo deflusso vitale. Poca o niente acqua vuol dire anche pochi o niente pesci: ovvero scomparsa della fauna ittica, soprattutto per la scomparsa degli anfratti e del microplancton indispensabili alla vita e alla riproduzione dei pesci. Talvolta i lavori per realizzare gli impianti e per la posa delle tubature mettono sottosopra il corso d'acqua. Nei cassetti della commissione regionale Via (Valutazione di impatto ambientale) giacciono decine di richieste per nuovi «piccoli» impianti idroelettrici. Riguardano praticamente tutti i torrenti della montagna bellunese.


Sul Talagona a Domegge, sul Vallesina a Valle di Cadore, sul Biois a Falcade e Canale, e ancora sul Cridola a Lorenzago, sul Mareson a Forno di Zoldo, sul Padola in Comelico, sul Mis a Gosaldo e Sospirolo, sul Codalonga a Selva, sul Ru' d'Arei a Rocca Pietore, sull'Ausor a Sovramonte. In qualche caso ci sono progetti addirittura in concorrenza tra loro, presentati da soggetti diversi. E le polemiche non mancano perché, come sta succedendo per esempio in Comelico, la Comunità montana accusa la «concorrente» En&En spa di voler mettere le mani su una «risorsa» che fa gola agli enti locali. Lo dice il presidente della Comunità montana Comelico-Sappada, Valerio Piller Roner: «Sono i soliti ghiottoni». Pubblico contro privato, in questo caso. Anche se En&En, nata nell'ambito di Assindustria, ha sempre dichiarato di ricercare la collaborazione degli enti locali per lavorare insieme con risultati positivi per tutti.


Una cosa è sicura: la En&En ha avviato un programma a tappeto di costruzione di piccoli e medi impianti idroelettrici. Tant'è vero che dei 16 progetti presentati alla commissione Via regionale e in attesa di risposta, 11 portano la firma della Spa presieduta da Valentino Vascellari. Ma in corsa ci sono altre tre società private, mentre la presenza degli enti pubblici è ridotta al lumicino. C'è la Comunità montana in Comelico, e ci sono 6 impianti già realizzati dal Bim, società emanazione del consorzio tra i comuni. Dunque pubblica, anche se funziona con le regole di una società privata. Deve garantire economicità, bilanci e dividendi per i suoi azionisti (i comuni).


L'affare è consistente, se è vero che solo l'impianto sul Padola potrebbe garantire 2-3 milioni di euro all'anno (stima del presidente Piller Roner) da distribuire ai 6 comuni del Comelico. Si valuta, in tutto il territorio provinciale, una potenza idroelettrica complessiva non ancora sfruttata di ben 100 megaWatt. E' un dato fornito dalla stessa En&En. Che ha individuato già numerosi impianti di diversa tipologia, da quelli piccolissimi (da 100 a 500 kW di potenza installata) a quelli piccoli (da 500 a 3000 kW) fino ai medi (oltre i 3000 kW). Un'analisi a campione ha permesso a En&En di stimare i costi e i profitti. Il costo medio è di 3.615 euro a kW installato, mentre la redditività, dedotte le spese di ammortamento, è del 9 per cento. Un bell'affare. Che è possibile perché la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è incentivata con il sistema dei «certificati verdi» e perchè il Gestore della rete nazionale (Grtn) è obbligato per legge a garantire l'immissione in rete dell'energia prodotta o anche il suo acquisto. E perchè i canoni idrici per uso idroelettrico sono molto bassi: 12,66 euro per kW all'anno. In sostanza, pubblico e privato fanno a gara per produrre energia e incassare. Però, alla fine, sono i privati che fanno la parte del leone, visto che la maggior parte dei progetti sono loro.


Forse perché sono più efficienti, più veloci, più abili degli enti pubblici. E sanno meglio approfittare delle opportunità che il quadro normativo offre a chi voglia produrre energia «pulita» in tempi di crisi del clima e della disponibilità di fonti tradizionali (petrolio). In Trentino hanno fatto una scelta: hanno stabilito di dare la «precedenza» agli enti pubblici sui privati, garantendo però norme più attente di rispetto ambientale. Una cosa è certa: partiti in sordina come fosse un affare di pochi, comunque conveniente per gli enti locali, quelli che sembravano singoli interventi isolati stanno assumendo l'aspetto di un progetto globale di iper-sfruttamento della poca acqua che resta.

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