Pachner esce dal coro «Andare in Friuli sarebbe un disastro»

L’ex sindaco di Sappada disegna scenari nefasti per il paese «E poi di là non ci vogliono, escluso chi sta a Udine o a Trieste»
SAPPADA. «Sono convinto che oggi, dopo 9 anni, se ritornassimo alle urne per il distacco dal Veneto e l’aggregazione al Friuli, i risultati sarebbero ben diversi. I sappadini autentici voterebbero tutti per restare in Veneto. Sono delusi e anche molto preoccupati».


Chi parla così è Max Pachner, sindaco di Sappada dal 1990 al 1995, e in seguito amministratore provinciale per 9 anni.


Ma perché i sappadini sarebbero delusi?


«Da 9 anni stanno aspettando il pronunciamento delle Camere. È arrivato quello del Senato, chissà se arriverà il sì di palazzo Montecitorio».


Arriverà, secondo lei, o no?


«Certo, se lo imporrà l’onorevole Rosato. La lobby triestina, a cui appartiene, ha molti interessi a Sappada».


E perché siete preoccupati?


«Preoccupati lo siamo per davvero. Dico di noi sappadini veraci, non di chi è diventato sappadino solo perché ha sposato una donna di qui. Si pensi solo che cosa accadrebbe della nostra Plodn se finissimo in Friuli».


Che cosa accadrebbe?


« La Regione Veneto, per tutelare al meglio la nostra identità, non ci ha annesso all’Unione montana del Comelico. In Carnia diventeremmo l’estrema periferia di Tolmezzo. Finiremmo, infatti, nella grande Unione territoriale intercomunale di Tolmezzo. La nostra identità comunale si spegnerebbe progressivamente, resterebbe un simbolo. Non parliamo della sanità. Sappiamo tutti come (non) vanno le cose all’ospedale di Tolmezzo. E per quanto riguarda le strade, in Carnia non c’è la manutenzione che qui ci offre Veneto strade».


I sappadini veri, quindi, vogliono restare veneti?
I problemi di Sappada, dunque, non si risolvono con il “trasloco”?


«A Sappada abbiamo perso solo un centinaio di abitanti negli stessi anni in cui, nella vicina Carnia, i Comuni hanno visto la popolazione dimezzarsi; in alcuni paesi i residenti sono diminuiti di tre quarti. E questo lei lo chiama sviluppo? Io no...».


Ma Sappada non ce la fa più a pagarsi gli impianti da sola...


«Gli impianti da sci? Se è per questo, il circo bianco è in progressiva crisi. E non solo per la poca neve alle quote più basse, ma per i costi eccessivi. Una famiglia non può svenarsi per una domenica sugli sci. Dobbiamo cambiare l’offerta turistica».


Lei, oggi così critico, un tempo si è battuto per tutelare l’identità del suo paese...


«Certo, mi sono adoperato per difendere il nostro “dna”, non per passarlo di mano. Nel 1972, quando l’allora sindaco decise di consultare i capifamiglia, mi rifiutai di raccogliere firme per passare al Friuli. I malgari, già allora, mi spiegavano che l’agricoltura veneta era molto più avanti della friulana nella capacità di attirare soldi europei».


Lei ritiene che i prossimi referendum per l’autonomia avranno un qualche risultato?


«Io spero di sì, ma bisogna che i veneti da una parte, e i bellunesi dall’altra, si rechino alle urne in percentuali quasi bulgare. La pressione sul governo deve essere massima. In montagna dobbiamo lottare per evitare lo spopolamento, cioè per sopravvivere, non per cambiare i confini. Se passassimo al Friuli, sarebbe un disastro anzitutto sul piano burocratico. E su quello sostanziale. Sappiate che di là non ci vogliono, salvo chi sta a Udine o a Trieste, perché saremmo concorrenziali per il turismo».


Francesco Dal Mas


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