Padre Zago amaro: «I ragazzi si perdono»

Quattro anni fa l’addio, oggi uno sguardo nostalgico e critico sulla città: «Poca fede, troppo alcol»

FELTRE. Sono già passati più di quattro anni da quel 3 novembre del 2008, quando padre Pierantonio Zago ha lasciato la parrocchia del Sacro cuore. Prima è stato mandato a Pachino (Siracusa), dove è rimasto per tre anni, poi nell’ottobre del 2011 è stato spostato a Roma per occuparsi della realtà di san Giorgio di Acilia, dove opera tuttora. Ma nonostante la distanza, padre Pier continua a rimpiangere Feltre e a ripensarla con affetto e nostalgia. Qui ha vissuto alcuni dei momenti fondamentali della sua vita, a cominciare dalla vocazione, maturata a cima Loreto nel 1977, all’età di soli 12 anni. Originario di Bovolenta (Padova) e ordinato padre Canossiano, Pierantonio è tornato in città l’11 settembre del 2001, a 36 anni, per affrontare ben sette anni di missione: «Quando sono arrivato il patronato era ancora quello nella cittadella, una struttura fatiscente e logorata dal tempo». Di indole estrosa e dinamica, Zago ha dovuto temperarsi con «il freddo climatico e caratteriale dei feltrini, che mi hanno messo a dura prova. Ma la voglia di conoscere e darmi da fare, insieme a una buona dose di fede, mi hanno aiutato ad andare avanti». Il suo cammino qui è stato lungo, accompagnato da «padre Andrea e padre Giordano, il vescovo Vincenzo Savio che mi ha incoraggiato e dimostrato sincera stima, don Graziano Dalla Caneva e Giulio Antoniol, poi sostituito da don Luciano Todesco». Il suo ruolo non è stato solo quello di cerimoniere, animatore e padre spirituale, ma anche di professore di religione all’istituto canossiano, una prima volta indimenticata. Ma l’esperienza feltrina, per quanto bella, era destinata a finire: «Ho accettato di andarmene su richiesta del padre generale con sofferenza ma nello spirito di obbedienza, e con la consapevolezza che nessuno è indispensabile. Sono partito per Pachino ma ripensavo spesso a Feltre e devo dire che la freddezza alla fine si era sciolta del tutto. Quando mi capita di tornare mi sembra di non essermene mai andato, perché questa città mi fa sentire a casa». Tramite Facebook anche da lontano riesce a buttare un occhio sulla vita quotidiana degli amici feltrini. Ma a distanza di tempo, c’è ancora una cosa che lo amareggia: «Mi spiace vedere tanti dei ragazzi che hanno frequentato il Cpg (Centro pastorale giovanile) che oggi non ci mettono più piede. Peccato perché il compito educativo che si svolge lì è una ricchezza unica. Mi amareggia lo scarso spirito critico con cui tanti ragazzi hanno liquidato la fede, senza un minimo confronto e vivendo un’esistenza superficiale fatta solo di divertimento e bar. Perché da quello che vedo e sento, a Feltre si beve troppo. A volte mi chiedo cosa è rimasto di tanti incontri di preghiera, confronti e testimonianza». Tra lo sconforto, rimane però una certezza: «Porto i feltrini nel cuore. Quella resta una delle più belle esperienze della mia vita».(f.v.)

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