Papà Fabiano e mamma Maria Grazia «Gabriele era figlio della montagna»

La famiglia Comis ricorda quel terribile lunedì: «Ho guardato le stelle, sapevo già che non sarebbe tornato», dice la donna Il padre: «Ho visto l’amico sotto choc e ho capito che non c’era niente da fare. Lorenzo non ha colpe, ci dispiace che soffra»

IL ricordo



Il dolore si smorza in un sorriso. Ma poi ritorna, riemerge come un fiume carsico. È un dolore fatto di stupore e di un’assenza senza spiegazioni, improvvisa come il taglio netto di un arto, che sembra di avere ancora e invece non c’è più.

«Non mi sarei mai aspettata di conoscere così tante cose di mio figlio, adesso che non c’è più». Maria Grazia Casanova, la mamma di Gabriele Comis, scomparso lunedì scorso in un drammatico incidente in montagna, è una donna forte. Il suo ragazzo lo sente ancora vivo, ne vuole parlare, lo vuol far rinascere nei ricordi. È quello che ha scritto (senza avere la forza di pronunciarlo) nel momento dell’addio, ai funerali, davanti alla bara: “Angelo mio, come vorrei essere lì al tuo posto, cosa non farei per ridarti nuovamente vita! Tu che l’amavi così tanto, in tutte le sue sfaccettature”.

«Vedi», dice rivolta al cronista, «la casa senza Gabriele è vuota, anche se poi lui non c’era mai. Era sempre sulle sue montagne. Era figlio della montagna» .

Gli occhi senza più lacrime incrociano quelle del marito Fabiano Comis. Poi si posano sul divano verde rivolto verso la finestra.«Gabriele stava spesso lì, seduto a guardare le Tre Terze. Spengeva la luce e ogni tanto si addormentava, ma la testa era sempre rivolta fuori, a guardare i monti. L’altra sera, mentre aspettavo notizie dopo il suo mancato rientro, mi sono seduta anch’io lì e ho guardato le stelle. Lo sapevo che non sarebbe tornato, me lo sentivo».

Maria Grazia e Fabiano ripercorrono quelle ore piene di tensione. Lei ritorna a lunedì scorso, mentre Beatrice, 13 anni, l’altra figlia, racconta che è stata l’ultima di famiglia a vedere Gabriele. «Mi ha preso un po’ in giro, come faceva di solito; scherzava sempre con me. Poi è sceso per andare a fare la passeggiata; ma prima è risalito a prendere due arance e mi ha sorriso».

Lunedì pomeriggio dopo la scuola, alle 13, 30, Gabriele decide infatti di andare sul Monte Col. Con lui l’amico di sempre Lorenzo Fontana. Il padre Fabiano, che lavora a Belluno come guardia giurata, attende una sua telefonata verso le 17: l’accordo è di trovarsi a Santo Stefano e poi rientrare insieme a Campolongo, come fanno spesso. Ma questa telefonata di Gabriele non arriverà mai. «Una cosa strana», dicono insieme i due genitori, «perché Gabriele era solito avvisarci. Anche quando si trovava in zone dove la linea del telefono arrivava appena, chiamava un attimo per rassicurarci: “Tutto bene, mamma”».

Ma lunedì no, il padre lo chiama senza avere risposta e comincia a impensierirsi. Rientra a casa e dopo poco suona al citofono il papà dell’amico Lorenzo. Preoccupati si portano alla baita Pian degli Osei, in val Frison, gestita dal fratello di Fabiano. Scatta l’allarme, arrivano gli uomini del Soccorso alpino, dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza. Passano i minuti e si comincia a temere il peggio. Maria Grazia lo sente che qualcosa non va e manda al marito un messaggino alle 21.40: “Fabiano”, gli scrive, “non abbiamo più il nostro Gabriele”. “No, dai Grazia”, risponde lui, mentre iniziano le ricerche con sempre maggiore frenesia e preoccupazione, “non dirmi così”. «Ma io me lo sentivo», spiega la mamma, «avevamo un rapporto così forte noi due».

«Io ho aspettato alla baita e ad un certo momento», ricorda Fabiano, «è arrivato il suo compagno Lorenzo sotto choc. Non reagiva, diceva solo “è scivolato giù”, e io ho capito che per mio figlio non c’era più nulla da fare. Me lo hanno portato chiuso in un sacco, verso le 23.30, ero con mio papà Mariano e i miei fratelli Mirko e Gianluca. Non volevano che lo vedessi, ma io ho voluto guardare il mio ragazzo, non ho potuto farne a meno».

«Io intanto pensavo di impazzire», prosegue Maria Grazia, «ho spento le luci e mi sono seduta sul divano, nel posto dove lui osservava le sue montagne. Guardavo su. C’erano le stelle che brillavano, ed ho pensato: “Sarà già una stella lassù anche lui”. Poi ho abbracciato Beatrice, la nostra piccola, perché adesso è rimasta solo lei».

I giorni successivi sono trascorsi fra lo stordimento, il dolore e l’incredulità: «Quanta gente che è passata dalla camera ardente», dice Maria Grazia, «io quasi non me ne sono accorta, ma me lo hanno detto. Tanti ragazzi, tanto dolore, tanti attestati di stima e di amicizia. Lo abbiamo vegliato due notti, come era bello, alto. Io ero lì, vedevo, ma non capivo».

I ricordi si accavallano, le parole sgorgano a ricreare la figura del ragazzo che amava la montagna e che sulla montagna ha perso la sua giovane vita. Fabiano e Maria Grazia ringraziano chi è stato loro vicino, quasi stupiti dell’amore che Gabriele ha saputo distribuire nei suoi diciotto anni di vita. «Grazie a tutti coloro che si sono impegnati nel soccorso, a quelli che sono venuti alla camera ardente e ai funerali; e un pensiero a Lorenzo, che non ha alcuna colpa, ma sta soffrendo tanto. E ci dispiace molto».

Poi le parole li riportano a Gabriele: «Sapeva fare squadra, era attento a tutti, soprattutto a chi era in difficoltà. Un buon samaritano, mio figlio. Ha insegnato la montagna a tanti amici. Ed era uno spirito libero, ma molto meticoloso, non era uno sprovveduto. Siamo orgogliosi di averlo avuto, vogliamo ricordarlo così, che rientra in casa e sale le scale cantando». —

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