Passaggio all'Alto Adige: la Consultaboccia i comuni ladini del Bellunese
Ha usato la mannaia la Corte costituzionale nei confronti dei comuni referendari bellunesi. La pronuncia - con cui si dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato in aprile dal comune di Fodom - tocca numerosi aspetti della problematica secessionista
BELLUNO.
Una bocciatura su tutta la linea. Ha usato la mannaia la Corte costituzionale nei confronti dei comuni referendari bellunesi. La pronuncia - con cui si dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato in aprile dal comune di Fodom - tocca numerosi aspetti della problematica “secessionista”, a partire dalle continue inadempienze degli organi centrali dello Stato. E’ la prima volta che la Consulta si esprime sulla vicenda dei referendari bellunesi.
Si tratta di una pronuncia per certi versi storica e per nulla scontata, nata dal ricorso “sperimentale” del comune di Livinallongo del Col di Lana, supportato da un giurista di Genova, Flavio Ratto Trabucco. Il ricorso alla Corte doveva essere un grimaldello per forzare e così accelerare i tempi del Parlamento, si è invece rivelato un’enorme delusione per tutti quei secessionisti convinti che lo Stato “non dia risposte”. Come in effetti è da cinque anni, più precisamente da quel 31 ottobre 2005, data del primo plebiscito secessionista, quello lamonese. Ma andiamo con ordine perché la tematica è complessa.
Il ricorso.
Il 12 aprile di quest’anno il comune di Fodom - in supporto dei comitati secessionisti che non sono legalmente legittimati a rivolgersi a un giudice - solleva davanti alla Consulta un’eccezione di costituzionalità, sostenendo che c’è in essere un “conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato”. Nel mirino ci sono le condotte “omissive e commissive” del Consiglio dei ministri, di Camera, di Senato e dei presidenti di entrambe le Camere. Nel ricorso si citano anche tre parlamentari. Sono da un lato i bellunesi Gianclaudio Bressa (Pd) e Gianvittore Vaccari (Lega), dall’altro l’altoatesino Karl Zeller (Svp), autori di una proposta di legge costituzionale per il passaggio dei comuni della Ladinia storica al Trentino-Alto Adige. Secondo il ricorrente, assistito da Ratto Trabucco, la variazione territoriale deve invece avere “natura ordinaria”.
Nel ricorso, Fodom dice che l’ente Comune - nel caso della procedura referendaria prevista dalla Costituzione - è da intendersi “potere dello Stato” e che l’inadempimento dei poteri centrali - Governo e Parlamento - provoca la menomazione di alcuni diritti come quello all’autodeterminazione, ma soprattutto il diritto di iniziativa “per la variazione territoriale”, sancito in particolare dall’articolo 132 della carta costituzionale.
Fuoco incrociato.
A fine giugno il giudice relatore Maria Rita Saulle viene sentito dalla Corte, che nei primi giorni di luglio si esprime in via preliminare, dicendo di non voler nemmeno entrare nel merito della questione.
Nel dirlo la Consulta dà però delle indicazioni precise, che per certi versi tarpano le ali ai “voli” secessionisti.
Innanzitutto, si sottolinea come l’ente comunale non possa mai essere considerato un “potere dello Stato”, nemmeno nel caso in cui abbia un ruolo attivo nella procedura referendaria.
In secondo luogo, i giudici confermano come il “momento iniziale del procedimento” di aggregazione sia soltanto la fase di una procedura decisionale molto più complessa.
Infine la doccia gelata. La Corte afferma di non avere poteri sugli “atti mancanti”: «Il ricorso», si legge nella pronuncia, «risulta finalizzato non già al ripristino del corretto confine fra le diverse attribuzioni costituzionali coinvolte, quanto a ottenere una pronuncia che tenga luogo degli atti mancanti al completamento della procedura di variazione territoriale». Procedura che, conclude la Corte, è «estranea alla nostra giurisdizione». Come a dire, i comitati se la vedano da soli.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi
Video