Pellencin: «Deluso dalla Fiom, ha gestito male il mio caso»

FELTRE. La sentenza del Tribunale che ha chiuso la vertenza tra la Clivet ed il delegato Fiom Giorgio Pellencin segna a sua volta la spaccatura tra il sindacalista e la Cgil. «Il sindacato mi aveva...

FELTRE. La sentenza del Tribunale che ha chiuso la vertenza tra la Clivet ed il delegato Fiom Giorgio Pellencin segna a sua volta la spaccatura tra il sindacalista e la Cgil.

«Il sindacato mi aveva garantito l'appoggio in tutti i gradi di giudizio», dice Pellencin, «e invece dopo la sentenza di primo grado ha ritenuto di non fare ricorso lasciando a me l'eventuale decisione che però avrebbe costretto il sottoscritto ad esporsi personalmente al pagamento delle spese legali già maturate oltre ovviamente a quelle future. Se mi avessero spiegato prima che queste erano le condizioni del loro patrocinio legale avrei potuto essere d'accordo oppure assumere un avvocato di mia fiducia e gestire l’intera causa in modo diverso. Così, invece, mi hanno lasciato in mezzo al guado, consigliandomi in tutta fretta di firmare anche l'accordo di conciliazione alla Direzione territoriale del lavoro».

Pellencin fatica a comprendere alcune scelte compiute dalla Fiom Cgil nella gestione dell'intera vicenda che ha portato al suo licenziamento: «Soprattutto mi sono sentito abbandonato. Nessuno si è praticamente fatto sentire nei nove mesi intercorsi dal licenziamento alla sentenza. Hanno voluto gestire la pratica tenendomi ai margini. Poi dopo la sentenza mi è stato detto che c'era il rischio che l'avvocato di Clivet impugnasse il verdetto e io ho detto “bene, se non lo fate voi il ricorso lasciamolo fare all'azienda”. Nella vita bisogna anche rischiare per portare a casa il risultato. Tutto sommato chi esce peggio dalla vicenda è proprio la Fiom Cgil. Non capisco come abbia deciso di non fare ricorso. Al sottoscritto, alla fine, non viene contestato un uso improprio del permesso sindacale. Viene contestato un periodo di un'ora, forse meno, nel giorno 22 luglio, su un permesso di otto ore. In quel lasco di tempo ho accompagnato mia moglie a fare la spesa, ma ciò non significa che non abbia svolto attività sindacale. Nella sentenza viene evidenziata la scarsa produzione di materiale a supporto dell’attibvità svolta, ma la scelta di non produrla è stata della Fiom. Io di sicuro non potevo più accedere in azienda per recuperare alcunché visto che ero stato licenziato. Per il resto, Clivet è stata condannata a versare un risarcimento al sottoscritto e al pagamento delle spese processuali. Una sentenza strana, visto che di solito è il condannato a dovere pagare le spese».

Pellencin sottolinea come la sentenza abbia creato un precedente: «Una cosa pericolosissima», afferma il sindacalista. «Per tentare di mantenere il posto di lavoro ero disposto a correre il rischio di perdere in appello l'indennità che mi è stata riconosciuta, ma non potevo certo pensare di pagare tutte le spese legali di tasca mia. Il mio sindacato mi aveva assicurato che avrei avuto il suo appoggio in tutti i gradi di giudizio. Così non è stato e sinceramente, a questo punto non credo di sentirmi più tutelato».

La conclusione di Pellencin è amara: «Quello che ha fatto l'azienda lo posso capire dal loro punto di vista. Volevano indebolire le Rsu aziendali e ci sono riusciti. Basti pensare che a distanza di tutti questi mesi il mio posto non è stato preso da nessuno. Ma come la Fiom ha gestito l'intera faccenda, questo non l'ho proprio capito».

Roberto Curto

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi