Pelmo d’Oro 2018, l’inno della montagna: «No a confini e divisioni»

Ieri a Rocca Pietore la consegna dell’ambito riconoscimento con il ricordo di Monica Campo Bagatin, l’anima del Bosconero 

La montagna non ha confini e ha insegnato ai suoi figli più autentici che bisogna andare oltre. È questa la lezione che la 21ª edizione del Pelmo d’Oro ha consegnato ieri mattina al Boscoverde di Sottoguda, ai piedi della Marmolada contesa, per festeggiare i premiati scelti dalla giuria.

Storie singole e di gruppo, quelle raccontate sotto il tendone allestito dal Comune di Rocca con la regia della Provincia, che hanno messo al centro della riflessione i confini: quelli dei cippi, della conoscenza, della disabilità, dell’individualismo, del dolore e pure della morte. Perché la montagna ingloba, tiene dentro.

«Oggi», ha detto al termine della cerimonia un turista padovano disabile, «mi sono sentito totalmente parte della comunità montanara con le stesse uniche sensazioni, anche se non ho scalato le montagne di Maurizio Giordani».

Questi è stato il primo premiato di ieri per la categoria “alpinismo in attività”. «Un premio», ha detto, «non per me, ma per una passione vera che spero non si esaurisca mai». Forse spinto dalla questione del confine della Marmolada ricordata da Orietta Bonaldo della giuria, Giordani, della Sat di Rovereto, ha espresso un pensiero semplice, ma chiaro: «Tutte le volte che in 40 anni io e i miei amici siamo venuti qui ad arrampicare, non abbiamo mai detto “andiamo a Belluno”, ma “andiamo in Marmolada”».

Con Josep Manuel Anglada (Pelmo d’Oro per la carriera alpinistica), l’internazionalità del premio si è allargata. Dopo austriaci, sloveni, slovacchi, svizzeri, tedeschi, polacchi, svedesi, francesi, ieri è stata la volta degli iberici. «Caposcuola d’indubbio valore per l’alpinismo europeo e catalano in particolare, attento ai rapporti umani e alla solidarietà intergenerazionale», Anglada ha scoperto il suo amore per le Dolomiti nel 1957 quando arrivò dalla Spagna con una moto 125.

I “senatori” Ivo Andrich e Costantino Costantin (premio speciale 2018) con le loro 45 Marcialonga su 45 hanno unito le due vallate dell’Agordino e di Zoldo.

Quasi un prologo all’intervento di Ugo Pompanin (menzione speciale) che dall’alto dei suoi 92 anni, ma soprattutto delle sue esperienze di vita (la costruzione e la gestione del rifugio Lagazuoi, l’istituzione del Parco naturale regionale delle Dolomiti d’Ampezzo, la creazione e la direzione del Soccorso alpino di Cortina, la scalata di innumerevoli vie), ha ripetuto più volte che «da soli non si fa niente», che «se ci uniamo andiamo avanti, altrimenti andiamo indietro». Un monito a superare i giardini, i recinti che ancora impediscono (specie nella montagna bellunese) la piena valorizzazione dei territori patrimonio dell’umanità.

Di questo patrimonio sono parte i membri del Suem 118 di Pieve di Cadore (a loro è stato consegnato il premio speciale Giuliano De Marchi) e continuerà a farne parte (perché la montagna sa ricordare) anche il sorriso di Monica Campo Bagatin, morta il 16 luglio. A lei è andata una menzione speciale (ritirata dal fratello Loris) per i 35 anni del rifugio Bosconero che con «accoglienza e serenità» aveva fatto diventare anche un «rifugio dell’anima alla caoticità del mondo moderno».

A questi rifugi Oscar De Pellegrin, che un incidente ha costretto in carrozzina, vuole che, attraverso il progetto Dolomiti Accessibili condiviso con Assi e con Dolomiti Unesco, ci arrivino proprio tutti, anche i disabili, se davvero le Dolomiti nelle quali sono incastonati appartengono “all’umanità”.

A lui è andato il premio speciale Dolomiti Unesco che tuttavia l’olimpionico ha voluto condividere. «Nella motivazione del premio mi hanno descritto come un superuomo», ha detto, «ma quello che faccio è la mia normalità, la mia quotidianità, quello che il mio cuore mi dice di fare. Allora il premio dobbiamo condividerlo tutti noi che siamo qua, perché tutti possiamo essere così normali, migliorare la nostra società e dare un esempio ai nostri figli». —

Gianni Santomaso

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