«Per i Giochi non serve la montagna»
CORTINA. Duro, anzi durissimo il presidente del Coni, Giovanni Malagò, con «chi sostiene che le Olimpiadi invernali non si possono fare in città che non siano in montagna», perché «non sa di cosa parla». Malagò non cita né bellunesi né veneti, né il sindaco di Cortina, né il presidente della Provincia, Padrin, tanto meno il governatore Luca Zaia, ossia gli amministratori che in queste settimane hanno unanimemente sostenuto - peraltro insieme ad altri autorevoli esponenti del “circo bianco” e dell’economia - che la location ottimale per i Giochi Invernali sono le terre alte soprattutto se, come Cortina e le Dolomitti, rappresentano il sistema sciistico più performante al mondo, con 1300 km di piste. Strutture già pronte a distanza minima dalla neve, si è detto a sostegno della candidatura veneta per il 2026. E, invece, il capo del Coni, ieri a Verona, ha detto che questi non sono i presupposti richiesti dal Cio. Di più, ha fatto capire che l’opzione Milano, con il dossier già pronto, poteva bastare, mentre adesso sarà complicato verificare le altre disponibilità e, al tempo stesso, cominciare a raccogliere le adesioni internazionali. Malagò, insomma, è apparso un po’ infastidito per questa complicazione, invitando alla responsabilità, declinata nell’accezione della condivisione. Ha ricordato, a proposito del presupposto-montagna, che Sochi, sede dei Giochi nel 2014, stava a livello del mare «e poi hanno fatto impianti a due ore di distanza». Pyeongchang, sede dei recenti Giochi, è a 700 metri sul livello del mare. E le Olimpiadi nel 2022 si terranno a Pechino. «Certo, si devono assolutamente associare le Olimpiadi invernali con la montagna, ma», ha specificato il presidente, «la maggior parte dell’impiantistica, dallo stadio per la cerimonia di apertura e di chiusura ai palazzetti che ospitano le specialità indoor come lo short track o le gare di pattinaggio lungo, faccio fatica a pensare, per quanto temporaneamente, che possano stare in montagna». Malagò ha fatto capire di sentirsi un po’ tirato per la giacca. Solo l’Italia, fra i 7 Paesi in pista per il 2026, presenta tre candidature. «E questa è un’anomalia. Siamo in una fase in cui bisogna assolutamente rispettare le regole», ha precisato rispetto alle mobilitazioni in corso, con tanto di contrapposizioni e polemiche. «Noi siamo il Coni e non possiamo fare discorsi di parte, dobbiamo essere imparziali».
La situazione ha del positivo e del negativo, secondo Malagò. «Il lato positivo è che a due anni dal ritiro della candidatura di Roma 2024, con quello che all’estero è stato visto come uno schiaffo pazzesco al Cio, abbiamo dimostrato grandissimo interesse nei confronti dei Giochi. E di questo il Cio è contento». Ma c’è un lato negativo che preoccupa il Coni. Quel Coni che già nel settembre scorso aveva cominciato a preparare il dossier di quella che sembrava l’unica opzione, Milano. «Dovrei già cominciare a raccogliere consensi, ma non so ancora su quale città indirizzare i membri che sento», ha ammesso, evidentemente preoccupato. «Ho già incontrato i presidenti delle Federazioni Usa e Cile, poi loro riferiranno ai presidenti dei rispettivi Comitati olimpici e a quello sudamericano, che conosco e con i quali dovrò parlare. Ma se loro chiedono chi devono votare che cosa si deve rispondere?
Bisognerà perdere dei mesi di tempo per condurre studi di fattibilità e preparare dossier. Delle tre candidature ne rimarrà solo una, a meno di collaborazioni eventuali tra i diversi territori» . Ed ecco che si profila la designazione di Milano con possibili gare in Piemonte, piuttosto che sulle Dolomiti.
Ma lo stesso capo del Coni osserva che «più c’è trasversalità di opinioni per il progetto olimpico e più il Cio apprezza». Il che apre una parentesi di serenità ai piedi delle Tofane, ma anche in riva al Canal Grande dove c’è chi si mangia le unghie per non aver candidato direttamente Venezia.
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