Per le Province è l’addio definitivo

La riforma costituzionale abolisce questi enti intermedi già depotenziati nel 2014 con la legge Delrio
Di Irene Aliprandi

BELLUNO. Domenica prossima gli elettori saranno chiamati alle urne per esprimersi sulla riforma costituzionale approvata il 12 aprile. Le novità introdotte dal testo di legge sono tante e riguardano argomenti molto differenti. Decidere cosa votare, cioè se approvare o meno queste modifiche alla Costituzione, è quindi complesso e non può prescindere da una lettura integrale della riforma, possibilmente accompagnata da un confronto con il testo della Costituzione attualmente in vigore.

Uno degli argomenti più importanti per gli elettori bellunesi riguarda l’abolizione delle Province, ultimo tassello di un percorso iniziato ormai da diversi anni e che ha trovato la prima svolta decisiva nella riforma Delrio che, nell’aprile del 2014, ha trasformato le Province da enti elettivi a enti di secondo grado, dove cioè gli amministratori non sono direttamente scelti dai cittadini, ma dagli amministratori comunali.

Per capire cosa porta con sè la riforma costituzionale, anche in questo ambito, abbiamo chiesto aiuto a un costituzionalista, Sandro De Nardi, professore di diritto pubblico dell'Università degli Studi di Padova.

Adieu, Provincia! «Una delle più importanti modifiche che la riforma costituzionale vorrebbe introdurre in materia di autonomie locali», osserva il professor De Nardi, «consiste nella soppressione delle Province quali enti costitutivi della Repubblica Italiana: in altri termini, esse verrebbero meno come enti territoriali costituzionalmente necessari che – perlomeno in teoria e sulla Carta – sono dotati di ampi margini di autonomia normativa, amministrativa e finanziaria (di entrata e di spesa). In concreto siffatta “decostituzionalizzazione” delle Province nell’ambito delle regioni ordinarie - come il Veneto - comporterebbe l’eliminazione di ogni riferimento ad esse non solo dal vigente art. 114 Cost. (quello cioè che individua le articolazioni territoriali del nostro Paese), bensì da una serie di ulteriori disposizioni che le richiamano in modo esplicito».

Favorevoli e contrari. «Tale significativa innovazione istituzionale, che pure tra gli studiosi costituisce oggetto di valutazioni di segno opposto, rappresenterebbe il naturale sbocco di un processo riformatore che per la verità, a livello di legislazione ordinaria, da diversi anni ha preso di mira proprio tale ente che si colloca in una posizione intermedia tra la Regione e i Comuni: anzi, a ben vedere, la stessa legge Delrio (n. 56/2014) – che ha già modificato in radice l’ordinamento provinciale, ricevendo il successivo beneplacito della Corte costituzionale – afferma espressamente che le sue previsioni normative sono state introdotte proprio restando in attesa della futura riforma costituzionale, evidentemente già auspicata in sede politica».

L’origine delle Province. «A prescindere da quello che sarà l’esito referendario, bisogna constatare che nella storia amministrativa italiana la Provincia ha da sempre avuto una vita assai travagliata e anzi piuttosto problematica, sin da quando è stata introdotta come ente privo di legittimazione democratica dalla legislazione sabauda che – giova ricordarlo – la configurò come un livello periferico dello Stato centrale (vale a dire, come una sorta di longa manus di cui lo Stato si poteva servire, tramite i Prefetti, per controllare da vicino i Comuni). Non a caso anche durante i lavori dell’Assemblea Costituente del 1946-1947 l’idea di sopprimere le Province era stata manifestata e politicamente condivisa da più parti: sennonché alla fine anche in quel consesso prevalse una scelta di stampo conservatore, che la riforma del Titolo V del 2001 ha addirittura ulteriormente rafforzato».

Il futuro. «Appare peraltro doveroso aggiungere che la riforma costituzionale non si limiterebbe ad eliminare dal nostro ordinamento le Province ma, nel contempo, introdurrebbe altresì gli “enti di area vasta” (cfr. art. 40, quarto comma): stabilendo che la loro disciplina normativa competa allo Stato quanto ai soli profili ordinamentali generali e alle Regioni per tutto il resto. Nel medesimo precetto si precisa pure, in un inciso che potrebbe rivelarsi foriero di interessanti sviluppi normativi, che entrambi i legislatori dovranno necessariamente tener conto delle “aree montane”, riservando loro un occhio di riguardo».

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