Pfas, la Regione sollecita le analisi nelle discariche
Coinvolti anche gli impianti bellunesi, come Cordele ma acquedotti e falde montane non sono contaminati
BELLUNO. L’acquedotto e le falde acquifere bellunesi non sono (non lo sono mai state) contaminate dai Pfas, ma è molto probabile che tracce di questa sostanza inquinante si trovino nel percolato prodotto dalle discariche. Dall’impianto di Cordele, ma anche di Cortina e di Mura Pagani. Ecco perché la Regione Veneto, che si sta occupando da tempo della vicenda Pfas, ha emanato una nota il 15 novembre dell’anno scorso, con la quale invita tutti i soggetti deputati al trattamento del percolato a effettuare le analisi sul liquido, per verificare la presenza di Pfas. Qualora nel percolato vi fossero tracce di Pfas, va smaltito solo negli impianti che hanno le strumentazioni adeguate.
Belluno affida il liquido prodotto dalla discarica di Cordele ad una ditta che lo trasporta ad un impianto di trattamento, ma quando realizzerà il depuratore questo dovrà avere i filtri dedicati anche ai Pfas. «Lo avevamo già previsto», assicura l’assessore all’ambiente Stefania Ganz. «Quando abbiamo progettato il depuratore, sapendo che il Veneto è una delle regioni in cui sono stati trovati i Pfas, abbiamo deciso di montare a Cordele un dispositivo in grado di trattare anche questa sostanza». Si tratta di avere dei filtri particolari.
Ma cosa sono i Pfas? Sostanze perfluoro alchiliche, si tratta di acidi usati in forma liquida, molto resistenti ai principali processi naturali di degradazione, e che dagli anni Cinquanta sono usati per la concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nella produzione di carta e cartone per uso alimentare, per rivestire le padelle antiaderenti e nella produzione di abbigliamento tecnico (gore-tex). Solo di recente si è scoperto che i Pfas sono inquinanti (gli effetti sulla salute sono ancora sotto indagine) e nel 2013, a seguito di alcune ricerche sperimentali effettuate su incarico del ministero dell’Ambiente, è stata segnalata la presenza di questa sostanza nelle acque sotterranee, superficiali e potabili di alcune zone d’Italia. Fra cui il Veneto. Sono interessate in particolare le province di Padova, Verona e Vicenza. Le analisi condotte nel Bellunese hanno dato esito negativo: acquedotto e falde acquifere non sono contaminate.
La Regione, comunque, si è attivata subito per tutelare la salute pubblica, ha fatto installare filtri a carboni attivi che abbattono le concentrazioni di Pfas negli acquedotti presenti nella cosiddetta “zona rossa”, ha attivato un sistema di sorveglianza, controllo e monitoraggio, ha regolamentato l’utilizzo dei pozzi privati ad uso potabile, deciso i limiti per le concentrazioni di Pfas: «Per le acque potabili abbiamo messo zero», spiega l’assessore regionale all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, che si sta occupando fin dall’inizio del caso Pfas. «Allo stato attuale non ci sono problemi di contaminazione da Pfas negli acquedotti veneti». I filtri installati hanno dato i risultati attesi.
Nel Bellunese non è stata trovata alcuna traccia di Pfas. Per precauzione, però, la Regione a dicembre ha emanato una delibera, con la quale dà tre mesi di tempo ai gestori del servizio idrico di tutto il Veneto di pianificare l’installazione di filtri su tutti gli acquedotti. Per precauzione. Dunque anche Bim Gsp dovrà dotarsi dei filtri.
Altro è invece il discorso che riguarda le discariche. È molto probabile che fra i rifiuti ci siano oggetti che contengono materiali realizzati con questi acidi. Basta un semplice foglio di carta da forno, per dire. Ecco perché il percolato va smaltito in maniera corretta. «È molto probabile che nel percolato da discarica ci siano Pfas, ma siamo attrezzati», conclude l’assessore comunale Stefania Ganz. «I nostri acquedotti e le nostre falde non sono mai state contaminate, in base alle analisi fatte da Arpav».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi
Video