Piave Maitex riconverte la produzione: arrivano le mascherine made in Belluno
BELLUNO
Nel giro di una settimana Piave Maitex ha riconvertito parte della sua produzione, coinvolgendo diversi terzisti e due università e in futuro la nuova linea potrebbe integrarsi stabilmente nell’attività aziendale. La produzione bellunese di mascherine a chilometri zero arriva da Feltre, dove Piave Maitex ha avviato la realizzazione di questi preziosi dispositivi e, solo con il passaparola, ha già visto moltiplicarsi la domanda. Questo grazie anche ad un’attenzione totale verso il nuovo prodotto, che l’azienda ha voluto sottoporre all’analisi dell’Università di Padova e che ora è stato inviato al Politecnico di Torino per la certificazione.
«È successo tutto molto rapidamente», spiega Lydia Barbini, Ceo di Piave Maitex. «Noi produciamo tessuti tecnici sportivi e abbiamo iniziato a fare mascherine per i nostri dipendenti perché non se ne trovavano da nessuna parte. Poi ce le hanno chieste i parenti dei dipendenti, i colleghi, gli amici, il sindaco di Feltre, la Protezione civile, le farmacie e così ci siamo ritrovati ad organizzare la produzione in maniera strutturata. Abbiamo anche coinvolto collaboratori storici dell’azienda, per ora quattro, ma presto aumenteranno. Ne abbiamo già vendute 40 mila e la prossima settimana saremo in grado di arrivare a una produzione di 50 mila mascherine al giorno». Per Piave Maitex non si tratta di un business. Certo, questo consente di continuare l’attività, anche se a ranghi ridotti, ma la scelta di Barbini è chiara: «Le vendiamo a un prezzo irrisorio, praticamente a prezzo di costo. Purtroppo non siamo in grado di vendere on line, ma è possibile farne richiesta chiamando o scrivendo in azienda e noi ci occupiamo della spedizione. I nostri corrieri sono già andati in Sicilia, a Napoli...insomma, pur senza pubblicità la voce si è sparsa parecchio».
La mascherina non assorbe nessun tipo di liquido, grazie al trattamento idrorepellente ed è lavabile fino a venti volte alla temperatura di novanta gradi o fino a quaranta volte alla temperatura di sessanta gradi.
Il materiale è stato inoltre analizzato al microscopio elettronico a scansione (il cosiddetto SEM) dall’Università di Padova, al fine di valutarne la struttura microscopica per avere un’indicazione circa l’efficacia nel bloccare le goccioline droplet, riconosciute come principale via di contagio del Covid-19.
Piave Maitex ha 110 dipendenti e in questo periodo l’attività è comunque ridotta: «Con un metro di tessuto facciamo 23 mascherine, quindi con duemila metri se ne fanno una miriade. Finora abbiamo lavorato senza il turno di notte e la prossima settimana faremo tre giorni di cassa integrazione».
Quando tutto sarà finito, Barbini non esclude di continuare: «Un cliente mi ha dato l’idea di provare a far certificare le nostre mascherine con il Politecnico di Torino. Dovrebbero poter ottenere il certificato FFP2 e se accadrà credo sia importante continuare a produrle dopo il 31 luglio. L’intenzione è di realizzarle anche colorate e sempre più professionali. È un’opportunità interessante, ed è assurdo che l’Italia non sia in grado di garantire una produzione così vitale. Questo è frutto di una delocalizzazione selvaggia e che stiamo pagando cara. Inoltre credo che anche nel nostro Paese, come già avviene da tempo in Asia, dovremo abituarci ad usare di più le mascherine».
A sottolineare l’importanza del lavoro di Piave Maitex è la presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, che ha spinto al massimo per questo risultato. «Come al solito, non siamo rimasti a guardare né tanto meno ad aspettare e la produzione, a chilometri zero, è già iniziata», afferma Lorraine Berton.
«Ringrazio Piave Maitex e il suo presidente Luca Barbini, mio predecessore in Confindustria. È un grande segnale di responsabilità nei confronti del territorio, ma soprattutto conferma l’enorme capacità di adattamento delle nostre imprese ai tempi che cambiano. Riconvertire la produzione di un’azienda in pochi giorni è un’impresa straordinaria e non scontata. Questa è la dimostrazione che c’è chi parla e chi fa», rimarca Berton. «Noi continueremo a fare, anzi saremo chiamati a fare sempre di più se vogliamo limitare le feroci ripercussioni economiche che già ci sono e che sono destinate a crescere». —
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