«Picchiata e costretta a vedere la mattanza»

Alice Rusconi Bodin racconta il suo arresto durante un’azione ecologista «Ho visto morire centinaia di cetacei, una ferocia che ti spezza il cuore»
Di Alessia de Marchi

CRESPANO DEL GRAPPA. La voce arriva chiara e distinta, migliaia di chilometri di distanza separano l’Italia da quel puntino in mezzo all’Oceano Atlantico a nord della Danimarca che sono le Isole Faroe, ma il telefono annulla lo spazio. Alice Rusconi Bodin, nata a Feltre 35 anni fa, istruttice di pilates di Crespano, è ancora lì dove è stata arrestata il 12 agosto scorso mentre con altri quattro attivisti si opponeva alla mattanza dei delfini. Un’azione decisa, violenta, brutale quella dei poliziotti che l’hanno trascinata in spiaggia e poi costretta ad assistere seduta al terribile spettacolo dell’uccisione dei delfini, la mattanza contro cui lei si batte in prima linea da due anni e che macchia da giugno a settembre lo splendido mare delle Faroe. L’hanno rilasciata dopo qualche ora, nella notte. Fuori tutti, anche gli altri quattro volontari di Sea Shepherd arrestati con lei: l’olandese Rudy de Kieviet, l’inglese Lawrie Thomson, il tedesco Tobias Boehm, e lo statunitense Frances Holtman. Naturalmente dopo aver ritirato loro il passaporto. «Volevano liberarsi quanto prima di noi», dice Alice, referente veneta di Sea Shepherd Italia. E ora sono in attesa del processo, che potrebbe essere celebrato lunedì prossimo e che deciderà il loro presente alle Isole Faroe. Potrebbero essere multati, condannati a un paio di settimane di carcere e poi espulsi con il divieto di mettere piede nelle isole per qualche anno.

Alice, cosa è successo il 12 agosto?

«Ero di pattugliamento a terra. Dal mare ci hanno allertato che i cacciatori stavano spingendo un branco di delfini verso la spiaggia. Lo fanno dalle imbarcazioni stordendoli con di suoni. Ci siamo precipitati in spiaggia e ci siamo messi tra il branco e i cacciatori. Sono arrivati i poliziotti che senza andar tanto per il sottile ci hanno trascinato via. E poi ci hanno costretto ad assistere alla mattanza. Una ferocia che ti spezza il cuore. Ho visto centinaia di delfini lottare fino all’ultimo, altri rassegnarsi dopo aver visto esemplari del proprio branco morire».

Qual è il reato di cui vi accusano?

«Hanno approvato una legge nel 2014 che vieta di interferire con le grind (le cacce ai delfini, ndr), non si può superare l’area chiusa da un nastro, non si può documentare. Una legge fatta per impedire la nostra azione pacifica di disturbo».

I faroesi come vi accolgono?

«Per loro la mattanza è una tradizione, una goliardata vichinga. I giovani assistono felice e festosi a questo massacro. Anche le donne: sono orgogliose dei loro uomini e portano pure i bimbi. Noi siamo dei nullafacenti, ci guardano con ostilità. È incredibile: pensare che questi sono posti meravigliosi. Ci riempie di tristezza vedere turisti e residenti ammassarsi in riva al mare per assistere al massacro dei delfini. Cerchiamo di fare controcultura, sensibilizzarli, ma la strada è davvero in salita».

Com’è la tua giornata tipo?

«Non posso fornire dettagli sulla nostra azione. Comunque siamo attivi da quando sorge a quanto tramonta il sole e qui, vista la vicinanza al Polo Nord, vuol dire dalle 3 del mattino alle 23. Sempre di pattuglia, pronti a intervenire per tentare di salvare i globicefali. Sono arrivata a metà luglio, me ne andrò, salvo decisioni diverse del tribunale, a fine agosto. Sono 90 giorni intensi, carichi di emozioni. Ho visto intere famiglie di delfini uccise».

Come funziona la caccia?

«I delfini vengono intercettatiu al largo, spinti sulla spiaggia, trascinati con corde agganciate allo sfiatatoio del cetaceo e qui finiti con una sorta di coltellaccio usato per spezzare la spina dorsale. I corpi vengono fatti a pezzi, talvolta questa operazione avviene con gli animali ancora vivi»

Che senso ha questa tradizione?

«Ora nessuno. Cento anni fa grind fa serviva per reperire il cibo in queste terre lontane dal resto del mondo. Ora i supermercati delle isole sono forniti di tutto, persino io che sono vegana trovo gli alimenti che mi servono».

È la tua seconda grind, ci sei già stata l’anno scorso. Dopo l’esperienza dell’arresto pensi di tornare?

«Non mi ferma la paura. Non ho mai avuto paura. Certo per me è un investimento fisico e soprattutto economico. Siamo volontari: ci paghiamo tutto dal viaggio all’alloggio. Di sicuro continuerò nella mia azione diretta in difesa del mare e dei suoi abitanti. Se qui o altrove, deciderò. L’importante è fare pressione, accendere i riflettori su questa situazione ambigua: qui si vive anche con sussidi europei, ma poi non si rispettano le regole europee. E poi c’è l’assurdità che anche i faroesi sconsigliano il consumo di carne di delfino a bimbi e donne in gravidanza in quanto tossica. Perché allora continuano questo massacro? Ho visto la tristezza negli occhi dei bimbi portati ad assistere allo spettacolo brutale dell’uccisione. Eppure..».

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