Politiche per la famiglia incisive per contrastare lo spopolamento della provincia di Belluno

La Spi Cgil lancia l’allarme: «Perdiamo mille abitanti all’anno, di questo passo ci estingueremo». Nella nuova contrattazione sociale con i Comuni il sindacato propone soluzioni per invertire il trend
BELLUNO. La curva è discendente. Sempre più. I dati dell’Istat, validati al 31 marzo 2017, dicono che in provincia di Belluno vivono 205.372 persone. Erano 205.781 tre mesi prima (31 dicembre 2016). Persi quattrocentro abitanti. In tre mesi. E non è solo questo il numero che fa alzare l’asticella della preoccupazione. La forbice fra i giovani (bambini e ragazzi fino a 14 anni) e anziani (oltre i 65 anni) si sta pericolosamente allargando. Ad oggi il rapporti è di 2,15: significa che per ogni giovane in provincia di Belluno ci sono oltre due anziani. «E non è solo colpa della montagna. A Trento e Bolzano il rapporto giovani-anziani è di 1 e poco più», spiega Renato Bressan.


I dati preoccupano la Spi Cgil, che da anni lavora sul tema dello spopolamento. E sarà questo il tema della prossima contrattazione sociale nei Comuni: «Servono politiche per la famiglia per invertire questo trend negativo», continua il segretario Spi. «Altrimenti siamo destinati all’estinzione. Entro tre anni scenderemo sotto i 200 mila abitanti».


I numeri.
I dati parlano chiaro. In 35 anni la provincia di Belluno ha perso 14.574 abitanti. Nel 1981 eravamo 220.355 (dati Istat). Siamo scesi a 212.085 nel 1991, a 209.550 nel 2001. La popolazione ha tenuto fino al 2013 (è addirittura risalita a 209.720 abitanti), «ma nel 2013 sono stati regolarizzati moltissimi immigrati», ricorda Bressan. Da quel momento il calo è stato continuo e inesorabile: 208.530 abitanti a fine 2014, 206.856 a fine 2015, 205.781 a fine 2016. Il 31 marzo siamo arrivati a 205.372 abitanti. «Moltissimi comuni non hanno più la possibilità di recuperare il saldo negativo, perché ci vivono solo anziani e le donne non sono più in età fertile», aggiunge Bressan.


Le conseguenze.
Trovare una soluzione a questo fenomeno, che ha moltissime cause, non è semplice, ma lo Spi ci prova. Nella prossima contrattazione sociale l’asse centrale sarà proprio quello dello spopolamento. «La situazione è grave, perché non riusciremo a mantenere l’occupazione, la domanda sociosanitaria aumenterà, si porrà sempre più il problema della gestione dei cosiddetti grandi vecchi, gli ultraottantenni, che hanno necessità particolari», continua il segretario. «Tutti i costi sociali saranno caricati su un numero sempre più esiguo di lavoratori, e rischiamo che i Comuni debbano aumentare i tributi locali per far fronte a questa spesa».


Altri dati vengono in soccorso: i trasferimenti dello Stato ai Comuni bellunesi in otto anni sono diminuiti di 41 milioni di euro (55 milioni nel 2009, 14 nel 2017). Il barile è sempre più vuoto. Il tema spopolamento investe il welfare e urge trovare almeno una proposta di soluzione.


La proposta.
«I Comuni devono pensare a politiche per la famiglia per invertire questo trend», continua Bressan. «E gli imprenditori devono cominciare a stabilizzare i lavoratori precari, perché una situazione di stabilità permette di pensare di costruire una famiglia». La battaglia quindi si allarga alla Camera del Lavoro, alle categorie economiche, a tutti i soggetti chiamati a combatterla con un faro ben fisso davanti agli occhi: impedire che la montagna bellunese venga abbandonata.


Fra le idee dello Spi c’è quello di sostenere le spese degli studenti universitari attraverso accordi con gli istituti di credito («si può pensare a mutui da restituire solo il parte se il giovane dopo la laurea torna nel suo paese d’origine»), ma rientrano anche politiche per gli asili e i centri famiglia. «Essere sempre meno comporta conseguenze gravi. Siamo stati esclusi dal piano potenziamento della rete dati di Telecom, per esempio», spiega il segretario della Cgil Mauro De Carli. «Tutti danno per scontato che il territorio stia andando verso il declino, invece dobbiamo trovare politiche per la crescita». Fra queste anche le fusioni dei Comuni: De Carli invita ad usare per il sociale parte delle risorse che vengono assegnate quando le operazioni vanno a buon fine.




Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi