Preoccupano gli alberi ancora a terra: «Qui c’è il rischio di incendio»
«Da ottobre ad oggi in molte zone non si è ancora intervenuti con gli esboschi, e intanto noi cittadini temiamo lo scoppio di incendi che possono mettere in grave pericolo le nostre case e la nostra incolumità. E già qualcuno sta pensando di andarsene perché non si sente più sicuro quassù».
Il grido di allarme arriva da Marco Nardini, residente a Rocca Pietore oltre che sindacalista della Fillea Cgil. La sua è una preoccupazione «che interpreta i timori degli altri cittadini che stanno vivendo da ottobre ad oggi una situazione difficile, specialmente ora che le aree rosse valanghive sono aumentate. E ciò significa che in queste zone ad intervenire è la Regione tramite Veneto Strade».
Le aree rosse
«A decidere l’ampliamento delle aree rosse è l’Arpav e questo farà slittare a ottobre l’avvio dei lavori. Ma se nel frattempo, visto l’arrivo della stagione estiva, dovesse scatenarsi qualche rogo? Gli schianti iniziano a seccarsi e diventano pericolosi. Una sigaretta buttata, un fulmine, ma anche un incendio doloso, sono tanti i motivi per cui potrebbe scatenarsi un incendio. Per questo chiediamo che venga predisposto un presidio a Belluno o in qualche altra parte della provincia dove far stazionare un elicottero in grado di intervenire in caso di bisogno. L’anno scorso, al momento dell’emergenza, sono dovuti arrivare i canadair dalla Toscana, ma ci vuole tempo per organizzare queste operazioni, non si possono improvvisare. Per questo chiediamo che si inizi già da ora a redigere un protocollo così da scongiurare il peggio. Non è pensabile che arrivi il vigile del fuoco volontario a spegnere un rogo che si preannuncia, viste le condizioni, di vaste proporzioni».
E poi punta il dito contro le strade chiuse. «Le strade non possono essere chiuse soltanto per le gare ciclistiche in Agordino, lo si faccia anche per ripulire i nostri boschi».
Molti sindaci nel frattempo stanno intervenendo dove non ci sono case e quindi i pericoli sono minori. «Ma se si fa rientrare tutto nelle aree rosse, non sarà più possibile operare, nemmeno il privato potrà entrare e togliersi i tronchi a terra. Anzi, qualcuno ha dovuto procurarsi la legna altrove, magari a costi più elevati».
Il tempo corre
Per Nardini quindi la tempistica è fondamentale. «Si intervenga almeno nei sentieri silvo-pastorali per permettere ai soccorsi di entrare nel bosco a spegnere il fuoco o comunque ad operare. Gli alberi schiantati vanno rimossi al più presto non solo per il rischio incendio, ma anche perché presto potremmo trovarci con il bostrico che va ad intaccare anche gli alberi sani».
I cittadini dell’Agordino, secondo il sindacalista, sono esasperati. «La gente non ce la fa più. Qui nessuno ci dice niente. Manca la trasparenza. Ed è un peccato perché se l’emergenza è stata trattata molto bene da tutte le forze in campo, l’ordinaria amministrazione, come è diventato ora il dopo Vaia, stenta a decollare», dice il residente che lancia un appello alla Regione: «Cerchiamo di intervenire al più presto, perché altrimenti le persone, non sentendosi sicure, se ne andranno da questi territori. I tecnici che vengono qui a controllare dovrebbero, invece, ascoltare di più la gente del posto che conosce la realtà in cui vive da anni. E poi basta con convegni sul dopo Vaia, è venuto il momento di agire». Per Nardini «era meglio che a fare le operazioni fossero i singoli territori».
Il lavoro nei boschi
E intanto, molte aziende del legno si stanno trasformando in aziende agricole. «Si sta prospettando quello che si temeva: cioè che si cerchino contratti di lavoro più economici per questo lavoro. E così non va bene. Abbiamo detto da subito che il contratto di riferimento deve essere quello dell’edilizia e del legno e che le imprese che arrivano qui devono essere preparate dai nostri responsabili della sicurezza». Il sindacalista non ci sta a vedere gente straniera impiegata in questi cantieri senza aver svolto una formazione adeguata e con paghe ridotte. «La maggior parte di chi sta lavorando qui è transfrontaliera, viene da Slovenia, Bosnia. Sono persone che arrivano con tutte le carte in regola al seguito di ditte che hanno ottenuto l’opera con bandi al massimo ribasso e quindi gli stipendi sono bassi. Ma così non va. Serve un protocollo, tra noi e la Regione, su come devono essere impiegate queste persone. Non c’è l’organizzazione del lavoro, ma un rimpallo di responsabilità tra enti con conseguente allungamento dei tempi di affido dei lavori». —
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