Preventorio, colonia caserma: tante facce per un edificio ricco di storia a Col Perer

Francesca Valente / arsiè
Imponente, inquietante e da tempo incustodito. Nonostante sia una proprietà privata, il preventorio di Col Perer è stato preda negli anni di facili incursioni da parte di persone appassionate di luoghi abbandonati e storie misteriose, come quella che sembra avvolgere l’edificio centenario che svetta sull’arsedese.
Costruito nel 1880 per essere una caserma militare, il suo destino è intrecciato a doppio filo con quello di villa Bellati (detta “Le Case” e situata nella frazione Vignui di Feltre), la sua storia invece con quella della famiglia padovana dei Borgherini, dal padre Alessandro al figlio oggi 86enne che porta lo stesso nome, perché «nel 1934 ancora si poteva dare».
Da caserma a preventorio
Alessandro Borgherini padre (e fisiologo) arrivò a Col Perer la prima volta nel 1913 per fare per qualche mese il medico a servizio del personale militare (forte Leone si trova a 8 chilometri di distanza). «Affezionato a quei luoghi, quando con la fine della Seconda guerra mondiale il Demanio iniziò a mettere in vendita i suoi beni, mio padre acquistò parte della collina dal Ministero della Guerra, compreso il vecchio edificio che di lì a poco tramutò in colonia estiva, grazie anche all’investimento di Giuseppe Riva», politico arsedese divenuto deputato che ricoprì la carica di sindaco di Feltre dal 1946 al 1957 per la Dc.
«Negli anni Cinquanta una nuova ondata di tubercolosi colpì soprattutto bambini e ragazzi e questo portò il settore privato ad attrezzarsi, anche per far fronte agli elevati costi del servizio sanitario pubblico». Nacquero così il preventorio di villa Bellati a Feltre e quello di Col Perer ad Arsiè. Era il 1952 e questo movimento durò all’incirca fino al 1974.
Il preventorio di Arsiè
Alessandro Borgherini figlio lavorava all’epoca per la clinica pediatrica dell’università di Padova ma cercava di andare a Col Perer una, anche due volte a settimana. «Il direttore era il medico Piero Bonsembiante, sposato con: la contessa Bellati che era la proprietaria della villa di Vignui».
Venivano accolti bambini di età compresa fra i 4 e i 12 anni in numero massimo di 150 da ogni parte del Veneto e anche oltre, distribuiti su una superficie di 5 mila metri quadrati condivisa con il personale laico e le suore padovane Elisabettine: «Siamo arrivati ad averne al massimo nove, poi la crisi delle vocazioni ha colpito anche il loro ordine poraandole a ritirandosi dal servizio prestato in molte strutture private», tra cui la casa di cura Parco dei Tigli di Teolo, sempre di proprietà dei Borgherini. All’ultimo piano c’era anche una sezione distaccata della scuola media per permettere ai bambini ricoverati in età di portare avanti gli studi.
Di nuovo colonia
Quando la tubercolosi fu debellata, Borgherini decise di cedere il fabbricato all’Azienda tramviaria milanese: «Mi hanno pagato l’affitto per una decina d’anni per portarci i figli dei dipendenti in vacanza. Se ne sono andati dopo aver avuto problemi con l’amministrazione comunale».
Era circa il 1983: e poi? «L’ho data in comodato d’uso gratuito alla diocesi di Vicenza per portarvi anziani e bambini, ma le strutture familiari come quella sono andate gradualmente in disuso, così nel 1994 mi sono state restituite definitivamente le chiavi». Nella struttura ci sono ancora riviste e calendari che riportano proprio quella data.
Il preventorio oggi
Alessandro Borgherini è tornato a visitare il suo stabile ogni volta che il destino lo portava a ripercorrere quelle strade. «Ormai però sono anni che non ci metto più piede», racconta con un velo di nostalgia, consapevole che il suo edificio è stato preda di incursioni, saccheggi e vandalismi. «Ho cercato di proteggere le cartelle cliniche mettendole nel sottotetto del sesto piano, poi quando ho scoperto che c’era chi ci andava mi sono affidato a una società per la digitalizzazione. Fino a una decina di anni fa mi chiedevano ancora i certificati medici».
A ben vedere dalle foto che circolano online però c’è ancora molto materiale cartaceo, come anche macchinari per la diagnosi.
Le prospettive future
Il recupero di Col Perer ha fatto parte per anni delle discussioni familiari. «Mio padre aveva espresso la volontà di metterci le ruote sotto, non so se per buttarlo o portarlo via… Finché era attivo offrivamo anche un servizio alla frazione, come la pulizia delle strade dalla neve. Col Perer per me è come un tarlo, non l’ho mai dimenticato. Sono aperto a qualsiasi soluzione». –
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