Processo Cetera, «9 anni e interdizione perpetua»

Dopo cinque ore di requisitoria, il pm D’Orlando ha chiesto anche due anni e otto mesi per l’altro imputato Gianaroli
L'ospedale di Pieve di Cadore dove esiste il centro assistito retto da Carlo Cetera Il primario votera' quattro al prossimo referendum di giugno
L'ospedale di Pieve di Cadore dove esiste il centro assistito retto da Carlo Cetera Il primario votera' quattro al prossimo referendum di giugno

PIEVE DI CADORE. Non pagavi? Eri in lista tra due anni. Se pagavi, invece, bastavano pochi mesi di attesa, per inseguire la speranza di diventare madre. Pronta per il primo ciclo di procreazione medicalmente assistita. Dopo cinque ore abbondanti di requisitoria, il pubblico ministero D’Orlando ha chiesto una condanna a nove anni di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca dei beni già sequestrati per Carlo Cetera, l’ex primario del Centro di procreazione dell’ospedale di Pieve di Cadore, che è a processo per tentata concussione, concussione, interruzione di pubblico servizio e corruzione; due anni e otto mesi e la stessa confisca a Luca Gianaroli, presidente della Sismer di Bologna, per l’accusa di corruzione; 90 mila euro alla stessa società, come responsabile amministrativa, perché non avrebbe impedito a un dirigente di commettere il reato.

Condanne pesanti, tenuto conto del fatto che il ginecologo padovano avrebbe voluto patteggiare due anni, con pena sospesa: «Per il dottore, il fatto è particolarmente grave», ha argomentato Katjuscia D’Orlando, «per di più, è stato ripetuto nel tempo. A questo bisogna aggiungere non solo l’intensità del dolo, ma anche la premeditazione, nei confronti di donne avanti con gli anni che volevano un figlio, e anche di quelle che venivano scavalcate nella lista d’attesa. Tutto partiva sempre dal medico».

Il pubblico ministero è partita dalla concussione, per chiudere con la corruzione. Ha ripercorso i 17 casi contestati (15 riusciti e due solo tentati): donne o coppie che, dopo essersi rivolte a Cetera, si erano sentite chiedere dei soldi. Molte di loro hanno pagato: «Il dottore sceglieva con cura le proprie vittime, alle quali prospettava liste d’attesa lunghe due anni. Liste che però potevano essere accorciate con due o tremila euro, a seconda delle disponibilità economiche. Tendeva a isolare le donne, invitandole a lasciare a casa i mariti o i compagni e si faceva consegnare il denaro lontano dall’ospedale: in un bar, in autostrada o anche in azienda».

Metteva loro pressione, ma una l’ha confidato chiaramente a un’amica: «Mi ha chiesto dei soldi, per avanzare nelle liste». E da questa denuncia è partita l’inchiesta della procura. In diverse hanno testimoniato in aula, con grande sofferenza: tutte sapevano che i soldi li incassava Cetera, ma hanno detto che servivano per pagare i biologi della Sismer, rischiando di commettere a loro volta un reato: quello di falsa testimonianza.

Quanto a Gianaroli, l’accusa gli attribuisce soprattutto l’utilizzo del Servizio sanitario nazionale all’insaputa della dirigenza dell’Usl 1. I fatti contestati vanno dal 2003 al 2011; fino al 2008 sono prescritti, di conseguenza è stata chiesta una sentenza di non doversi procedere. Sono ancora punibili quelli dal 2009 in poi, con una condanna a quasi tre anni. «La Sismer non aveva un modello organizzativo di gestione e controllo», ha sottolineato D’Orlando, «perlomeno fino al CdA del 3 luglio 2012». C’è un codice etico, ma non è la stessa cosa. Questa mancanza di vigilanza avrebbe favorito la commissione del reato e, quindi, «merita di essere condannata anche la società emiliana», che si occupava di prelievo degli ovociti e trasferimento degli embrioni per l’ospedale di Pieve.

Qui arriverà il dottor Lo Re, al posto di Cetera, che osserverà il fatto che alcune pratiche si risolvevano in pochi mesi, mentre ad altre servivano due anni.

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