Procond, sale il debito: attività a rischio

Mercoledì a Roma la doccia fredda, ora si cerca di salvare i 290 posti di lavoro di Longarone. Si teme il commissariamento
Longarone, 28 aprile 2005, procond elettronica
Longarone, 28 aprile 2005, procond elettronica

LONGARONE. La Procond elettronica di Longarone, che produce schede elettroniche, rischia la chiusura. La causa è l’esposizione finanziaria con le banche e con i fornitori che ammonta a circa 136 milioni di euro. Una somma che l’azienda dovrebbe rifondere in parte entro la metà di settembre per poter resistere, altrimenti rischia il concordato e il commissariamento, con la messa in vendita degli stabilimenti. Un po’ come capitato all’ex Acc di Mel.

La situazione pesantemente compromessa del gruppo Selcom è stata illustrata mercoledì dai vertici aziendali in un incontro al Ministero dello Sviluppo economico, richiesto proprio dai sindacati. Per tutti è stata una doccia più che fredda, “gelida”, visto che l’azienda per quanto riguarda Longarone non aveva mai fatto intendere che i problemi fossero di questa portata. Anzi «la società per quanto ci riguarda», precisano i segretari di Fiom Cgil e Fim Cisl, Luca Zuccolotto e Bruno Deola, «andava bene: soltanto ad agosto avevamo fatto un’assemblea con la dirigenza e ci avevano detto che c’erano volumi, tanto che erano state fatte anche una trentina di assunzioni interinali».

Procond conta quattro sedi: quella di Longarone con 290 addetti, quella di Bologna con 360 dipendenti, di Palermo con 110 e di Milano con 10. Per tutti costoro ora si prospetta un autunno molto incerto.

Intanto lunedì i sindacati incontreranno il prefetto di Belluno per «mettere a conoscenza della situazione anche il rappresentante del governo sul territorio, poi ci troveremo nuovamente al Ministero venerdì per fare il punto», dicono Zuccolotto e Deola.

«Ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: stabilimenti che in 15 anni non hanno fatto neanche un’ora di cassa integrazione e che potrebbero avere una propria autonomia funzionale grazie a commesse e clienti importanti, che adesso rischiano di essere affossati da un debito strutturale, gestito male dagli attuali vertici aziendali, gruppi finanziati che pensano solo a spolpare gli stabilimenti senza fare gli investimenti necessari», commenta il segretario della Fim.

La situazione critica si sarebbe creata quando le banche, a cui in questi anni il gruppo aveva chiesto dei prestiti, si sarebbero viste recapitare un’altra richiesta di proroga dei pagamenti. «Le problematiche potrebbero, anche nel breve periodo, mettere in discussione la continuità produttiva di tutti gli stabilimenti italiani, con ricadute drammatiche sotto il profilo occupazionale. Questa situazione, anche di fronte al miglioramento del conto economico nel primo semestre dell’anno (frutto dell’impegno e della professionalità dei lavoratori e della lavoratrici) non è tuttavia sufficiente a garantire il futuro», dicono i sindacati che «a questo punto», precisa anche Zuccolotto al termine delle assemblee coi lavoratori, lavoratori che sono rimasti allibiti e fortemente preoccupati al sentire le novità, «chiedono un impegno del governo, delle istituzioni locali, delle banche e di tutti i soggetti interessati per salvaguardare un patrimonio industriale, professionale e tecnologico nonché occupazionale affinché sia fatto tutto il necessario per evitare che la situazione sia compromessa definitivamente».

Intanto, già in questi giorni l’azienda ha informato i dipendenti che il salario sarà frazionato in busta paga con una tranche cospicua alla scadenza naturale del pagamento e il resto a fine mese. «E questo per riuscire a versare Irpef e Tfr ai lavoratori, somme ancora non pagate». I sindacati sperano che con l’aiuto del Ministero le banche diano un po’ di respiro all’azienda così da cambiarne la dirigenza e ripartire. Altrimenti, si rischia il fallimento e il commissariamento con tutto quello che ne consegue.

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