Professione pastore, una vita nomade piena di passione
Gregge da mille capi dalla pianura trevigiana al passo Giau. A gestirlo una famiglia di Spert in viaggio 12 mesi l’anno
ALPAGO. Una pratica antica che unisce da sempre uomo, natura e paesaggio e che mette in primo piano una ricchezza fondata su tradizioni, cultura e conoscenze. Una consuetudine che ora si vuole tutelare anche attraverso l’Unesco. La transumanza, ossia la migrazione stagione del bestiame dalla pianura all’alta quota e viceversa, affonda le sue radici in un passato lontano. Un passato che continua a vivere nel presente grazie alla passione di alcune persone che hanno deciso di fare della pastorizia il loro mestiere.
La transumanza primaverile attraverso il Cansiglio
È il caso di Silvano Ferrai e della moglie Mariarosa Della Libera, che hanno come base Spert d’Alpago. In questi mesi sono impegnati, insieme alla giovane figlia Giulia, nella transumanza primaverile. Una migrazione che vede protagonisti un migliaio di capi, tra pecore e capre, in viaggio dalla pianura trevigiana al Cansiglio, per poi giungere al Piave e, infine, al Passo Giau.
«Ora siamo arrivati nella zona industriale di Paludi, in Alpago. Poi ci sposteremo verso Cadola di Ponte nelle Alpi», spiegava ieri la signora Mariarosa. «La prossima tappa importante sarà tra fine aprile e inizio maggio, quando saremo lungo il Piave, nell’area in prossimità del canile dell’Apaca».
Proprio lì andrà in scena l’arte dei tosatori, che arrivano direttamente dalla Nuova Zelanda, dove nel 2012 la tosatura è stata persino proposta come sport olimpico. «Per chi non la conosce è un’esperienza davvero suggestiva», aggiunge. «I neozelandesi sono dei veri e propri maestri. Tosare una pecora è solo in apparenza un’operazione semplice. In realtà richiede maestria e professionalità».
A fine maggio Ferrai, la moglie e la figlia si dirigeranno, durante la notte, verso Mezzo Canale, in Val di Zoldo, dove 300 capi saranno avviati in malga. Con gli altri 700 animali i pastori si sposteranno a Selva di Cadore, attraverseranno tutte le sue frazioni e da agosto faranno tappa al Passo Giau. A settembre scenderanno in Nevegàl, per poi andare verso il Fadalto e passare a Vittorio Veneto, San Fior, Cordignano. Spostarsi non è un’impresa così semplice, anche perché è necessario chiedere i permessi ai Comuni “ospitanti”.
Ma com’è la vita di un pastore? Si tratta di certo di un inno a un’esistenza a contatto con la natura e ai valori della tradizione, nella consapevolezza di un legame indissolubile che unisce il paesaggio e la gente che lo abita. Non a caso, alcuni vorrebbero che la transumanza diventasse patrimonio cultura immateriale dell’umanità. E c’è una candidatura, che è stata formalizzata a fine marzo dall’Italia come capofila, insieme alla Grecia e all’Austria.
Ma le difficoltà per un pastore non mancano, come si può ben immaginare. «È dura, non possiamo negarlo. Una vita nomade, nel vero senso del termine. Siamo in transumanza 12 mesi all’anno», fa presente Mariarosa. «Mio marito ha iniziato a fare questo mestiere a 14 anni. All’inizio con altri pastori e poi per conto proprio. Ha un’esperienza di più di 35 anni. Siamo aiutati da un operaio e da nostra figlia, che ha ereditato questa passione». «Abbiamo i nostri carretti da pastore, adibiti a casetta», dice ancora. «Durante la notte recintiamo il gregge, in modo che i capi non si disperdano. Fondamentale è il lavoro svolto dai cani: noi ne abbiamo sette e senza di loro non sapremo come fare. Sono i migliori amici degli allevatori di pecore».
A tanti sarà capitato di incontrare, o almeno di vedere da lontano, un gregge in transumanza. «La maggior parte delle persone rimane affascinata», commenta Mariarosa, «qualcuno però manifesta una sorta di paura, in quanto pensa che gli animali possano portare malattie. Ma un buon pastore si prende cura del proprio gregge: tutti le nostre pecore e capre sono vaccinate e sane». Ad agosto dello scorso anno il gregge di Ferrai è stato attaccato dai lupi sul Passo Giau. «Durante la notte hanno azzannato una pecora. Per fortuna sono intervenuti i cani, che hanno evitato che il danno potesse essere peggiore», conclude. «Temiamo che l’episodio possa ripetersi, visti anche i numerosi casi segnalati nell’ultimo periodo in Veneto».
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